giovedì 19 ottobre 2017

Referendum lombardo e veneto: "Odio gli ignavi" e anche gli autolesionisti. Chi non vota è il miglior testimonial a favore del centralismo


Non è certo un mistero che, tra le altre cose, mi consideri un indipendentista acceso e radicale. E questo da un quarto di secolo, sempre a fianco delle ragioni di ogni popolo in cerca di autodeterminazione e contro la sopravvivenza di quei fetidi feticci ottocenteschi rappresentati dai cosiddetti "Stati nazione" (che poi nazioni non sono), sempre più inutili, sempre più dannosi, sempre più odiosi e antidemocratici.
Malgrado questo, e soprattutto per questo, alla vigilia di un appuntamento come quello dei referendum consultivi sull'autonomia che si tengono in Lombardia e Veneto, da piemontese residente in terra lombarda andrò a votare con grande convinzione e motivazione. Per il sì, è chiaro e naturale.
Sappiamo tutti - e tutti a partire dai promotori l'hanno detto con chiarezza - che con quanto accade in  Catalunya tutto questo non c'entra niente. Purtroppo, aggiungo io, ma questo è ancora un altro discorso.
Nonostante ciò, il significato e il dato politico di questo voto consultivo sono profondi.
Ogni qual volta sia possibile gridare, sussurrare, dichiarare, sostenere, firmare, controfirmare ogni iniziativa rivolta a percorrere la lunga e complicata strada della restituzione di poteri, competenze, diritti, legittimità dal centro ai territori, il girarsi dall'altra parte sarebbe soltanto stolto quando non criminale.
Ci possano essere simpatici o antipatici i promotori, ci possano apparire belli o brutti, interessati o disinteressati, furbi o cretini, utili o futili, il tacere quando ci viene chiesto se vogliamo riportare a casa o no quello che è nostro si trasforma in nient'altro che in una complicità di fatto con un potere tanto più lontano ed alto ed irraggiungibile tanto più è centralizzato e sordo alle istanze territoriali.
Si dirà che questo referendum non produce nulla, non fa scattare niente, non porta ad alcun risultato immediato e concreto. Può essere, mi auguro proprio di no, ma può anche non essere: un forte consenso popolare alla richiesta di più autonomia, quindi più poteri ai territori, quindi a noi stessi, è un dato politico fondamentale per poter pretendere una trattativa.
Viceversa, il dato politico che emergerebbe da una scarsa partecipazione sarebbe incontestabile e ci verrebbe sbattuto sul naso per i prossimi cent'anni: ai lombardi e ai veneti dell'autonomia non frega assolutamente nulla. Sono stati zitti quando potevano parlare, continuino pure a tacere e a pagare.
Per questo motivo la cieca ostinazione con cui certi "indipendentisti duri e puri" si affannano per far fallire il referendum è nient'altro che una incomprensibile connivenza con il nemico. Diventano, di fatto, le quinte colonne del centralismo e della conservazione dell'asse di potere Stato ottocentesco/Superstato Ue. 
Un'altra considerazione: una scarsa partecipazione al voto lombardo e veneto sarebbe una tomba non soltanto per le speranze delle due Regioni interessate, ma anche per tutte le altre. Con quale credibilità si potrebbe allora chiedere più autonomie e poteri per il Piemonte, la Liguria, l'Emilia-Romagna, ma anche per la Puglia e la Calabria, a titolo di esempio?
Mi ripeto: andare a votare ai due referendum, oggi, è l'unica possibiltà, del tutto legale e vincolante almeno da un punto di vista politico, che abbiamo per alzare la voce nella nostra legittima pretesa che ci venga restituito quello che è nostro: almeno alcuni pezzi di quei poteri che il centralismo romano sta viceversa regalando a mazzi al centralismo di Bruxelles.

Se invece le quinte colonne non sono effettivamente tali, allora non cerchino scuse per la loro ignavia. O per la loro idiozia. Perché si comportano proprio alla stregua del solito marito armato di cesoie contro se stesso per far dispetto alla moglie. Il non plus ultra dell'intelligenza.
Ci sarebbe infine una terza ipotesi. I massimalisti "duri e puri" hanno in realtà in tasca un piano alternativo: fare la rivoluzione al di fuori delle urne e della democrazia. Ce lo spieghino, ce lo illustrino, si mettano in marcia e se saranno convincenti molto di più di quanto pensano di esserlo nel tentare di farci stare a casa, li seguiremo fiduciosi e con lo sguardo proiettato verso i luminosi destini.

Però di barricate pronte non se ne vedono. All'orizzonte vedo le urne. E sempre più motivazioni per andare a votare, ben consapevole del fatto che quello di domenica 22 ottobre sarà soltanto un inizio per l'ancora lungo e difficile percorso di affrancamento. 
Ma, soprattutto, ancora più consapevole che il non andarci comporterebbe soltanto la sua indiscutibile fine.

Ascolto consigliato:
Fba, "Ol Pal", traduzione in lombardo bergamasco della celebre canzone catalana "Estaca" di Lluis Lach

mercoledì 4 ottobre 2017

E se i più fedeli alleati del mondialismo fossero proprio i sedicenti "sovranisti"?



Il formidabile risveglio del popolo catalano e il durissimo braccio di ferro con Madrid hanno dato la stura a un brulichio di ipotesi, controipotesi, complottismi e contocomplottismi, soprattutto in circolazione nei social, per additare e denunciare chi "vi sarebbe dietro" l'indipendentismo di Barcellona. Dalla clamorosa bufala sull'immancabile Soros di cui si è già detto in un altro articolo fino ai "poteri forti della Ue" che mirerebbero a disgregare, e chissà poi perché, gli stessi Stati che la compongono. 

Un brulichio di bisbigli che si è fatto sempre più caciara,  in particolare prodotta da parte di chi si proclama sovranista, e che lamenta la lesa maestà non tanto di Sua Altezza Reale Felipe VI di Spagna quanto del concetto stesso di "Stato nazione".
Un feticcio che è anche e soprattutto un concetto fallace e mendace, inventato nell'Ottocento, quando le borghesie capitalistiche internazionali, in accordo e in alleanza con le cancellerie e gli eserciti, presero una cartina geografica e vi disegnarono sopra i confini degli Stati fantoccio che meglio si addicevano ai loro interessi economici e li battezzarono "nazioni". Fomentando la creazione di movimenti in tal senso e riempiendo i libri di Storia di propagande retroattive atte a giustificarne l'esistenza.
La "nazione", in effetti, è e resta tutta un'altra cosa. È un concetto che non coincide per nulla con uno Stato attuale, quasi sempre plurinazionale di fatto quando non di diritto, ma con i popoli. I cui confini non sono geopolitici ma antropologici e sono sono quelli di storia, cultura e lingua. Confini peraltro dinamici e tutt'altro che immutabili nel tempo come si sarebbe preteso, e si pretenderebbe soprattutto oggi, per gli ordinamenti giuridici statali. 

L'italia è un caso esemplare di questa creazione in laboratorio stile Frankenstein: territorio geografico assai composito e ben distinto in macro aree, i suoi popoli, mai realmente "uniti" nemmeno ai tempi della dominazione romana e dell'invenzione del termine stesso "italia", erano e restano divisi proprio per clima, tradizioni, inclinazioni, storia, cultura e lingua. Quella denominata "italiana" parlata tra l'altro, ai tempi della creazione dell'italico regno per mano dei Savoia-Carignano, da appena circa il due per cento dei sudditi e nemmeno dai loro sovrani. Questo contando tra i sudditi i pochi e prezzolati intellettuali e l'intero numero dei tosco-laziali, che la impiegavano (con accenti assai diversi, peraltro) perché soltanto per loro era la effettiva "lingua propria".

A proposito di indipendentismo, viene in mente un documento oggi da tutti dimenticato ma che varrebbe la pena riproporre prima o poi nella sua interezza. Si tratta del Manifesto per un'Unione europea socialista, sottoscritto nel 1973 dagli indipendentisti armati irlandesi dell'Ira Provisional, dai baschi dell'Eta insieme con gli arpitani di Alpe, i sardi di Su Populu Sardu e anche con i piemontesi di Alp. Un suo passaggio ricordava giustamente che "i giovani borghesi "nazionali" (le virgolette sono nell'originale proprio per definire l'uso improprio del termine, nda) del secolo scorso (l'Ottocento, nda) hanno dato spazio al grande capitale monopolistico europeo". Aggiungendo inoltre che "tutti i nostri popoli si trovano in una situzione di subordinazione nei confronti del grande schieramento oligarchico europeo". Parole molto profetiche e sempre attualissime. Allora l'Unione europea si chiamava Mercato Comune Europeo ma il progetto era già molto ben chiaro per chiunque lo avesse voluto leggere.

Viene da chiedersi allora chi abbia voluto questo "superstato europeo" in nuce, e perché. Forse i popoli? Forse le nazioni? Oppure le stesse identiche oligarchie europee finanziarie e capitalistiche che nell'800 si inventarono a tavolino gli Stati fantoccio per i loro interessi? Quanti sono stati i popoli, in Europa, che hanno delegato liberamente e dopo un voto a Bruxelles la propria sovranità? Una sovranità che, nel caso dello Stato italiano, appartiene al popolo almeno formalmente sulla carta, ma che da palazzo si vorrebbe sempre più "cedere" alle oligarchie.
Ecco, sono proprio gli "Stati nazione", oggi difesi come un feticcio intoccabile dai sedicenti sovranisti, ad essersi comportati come principale strumento di passaggio dei poteri dai territori al centralismo oligarchico di Bruxelles. Perché voluti e costruiti un secolo prima dagli stessi identici poteri che un secolo dopo avrebbero inventato il leviatano europeo per meglio curarsi gli affari propri.

Seguendo il filo logico del discorso, appare quindi chiaro che chi si pone contro il leviatano europeo e il suo portato globale, il mondialismo, abbracciando lo Stato, ovvero lo strumento della sua costruzione in barba ai popoli e alle nazioni vere, finisce ad essere il primo complice del leviatano.
Denunciando la volontà dei popoli di riprendersi la sovranità verso il basso e pretendendo il mantenimento dell'integrità degli Stati inventati nell'Ottocento come strumento del capitalismo, sia i sovranisti "di destra" sia quelli "di sinistra" mascherati da internazionalisti si comportano come perfetti kapò al servizio dell'attuale Ue. 
Insomma, se si vuole "più libertà" e "più sovranità", affidarle in custodia ai propri aguzzini che ne fanno strame non è certo la scelta più furba. Anzi, è scelta suicida.

Un ragionamento assurdo?
Non più assurdo di quelli che si leggono quando qualcuno tenta di convincerci che "occorre difendere gli Stati nazionali minacciati sia dall'interno (dalle volontà secessioniste) e dall'esterno (dai poteri sovranazionali)". 
Oggi gli "Stati nazionali" non sono minacciati dai poteri sovranazionali: sono solo uno strumento nelle loro mani. E chi difende i primi finisce inevitabilmente per difendere i secondi.
Tornino quindi potere e sovranità ai popoli, se davvero vogliamo sperare di tornare ad essere padroni di noi stessi.



sabato 30 settembre 2017

Catalunya Lliure, ovvero del perché gli italiani non possono capire nulla di quello che accade quando un popolo si sveglia


"Globalisti, indipendentisti pagati da Soros, servi di Juncker". "Etnofascisti, rozzi egoisti, che Madrid li schiacci con i carri armati". "Comunisti, sono solo comunisti, gli indipendentisti veri sono stati egemonizzati dai rossi".
Sono tre opinioni diverse, opposte tra loro e distanti come i vertici di un triangolo equilatero, ma tutte si riferiscono alla stessa situazione: il referendum per l'indipendenza della Catalunya, voluto dalle istituzioni e dal popolo catalano con ogni mezzo, e che Madrid ha voluto impedire con ogni mezzo.
Comunque finisca, nulla sarà più come prima.
Tranne una cosa certa e sicura come acqua di fonte: l'incapacità congenita degli italiani di ogni ordine e grado di capirci qualcosa di sensato.
Veniamo al nostro triangolo. Frequentando i social network, l'impressione è quella di una confusione estrema. I media del Belpaese ci hanno messo del loro. Tranne forse negli ultimi giorni in cui si è notata una timida resipiscenza, nessuno ha spiegato nulla di serio e tutti hanno parlato da grandi esperti senza capirci un tubo di nulla. L'impressione giunta a chi è esterno alla tematica e si è informato solo sui media mainstream, è che pazzi catalani fuori dal tempo si sono inventati la loro marcia del Po e hanno baciato l'ampolla. Punto.
E proprio da qui partiamo. Chi dovrebbe intendersene di indipendenza, di indipendentismo e di processi di autodeterminazione sarebbero dovuti essere proprio i leghisti. Ma qui iniziano i problemi. La Lega di oggi non è più quella di ventuno anni fa e, a dire il vero, nemmeno quella di quattro anni fa quando l'attuale segretario ribadiva che lo scopo del movimento era quello scritto nello Statuto, vale a dire l'indipendenza della Padania.
Divenuta la Lega nel frattempo sovranista, almeno a livello ufficiale i suoi vertici hanno comunque  formalmente e doverosamente appoggiato il referendum catalano, anche se certo non con l'entusiasmo d'altri tempi.
Ciò che sconcerta di più, però, sono le posizioni di molti leghisti di base ex indipendentisti divenuti oggi fautori del mantra "Prima gli italiani", oggi a fianco di Madrid con un realismo davvero ben oltre quello degli stessi reali di Spagna.
Confondendo i radical-cinquestellosi Podemos con gli indipendentisti, aggiungendoci una spruzzatina di Soros che non fa mai male, molti leghisti di base ex indipendentisti si sono scoperti - strano a dirsi - neofalangisti, disamorandosi dei popoli in lotta e ritrovandosi a fianco dei poliziotti mandati a reprimerli nel nome del dio Stato unico e indissolubile lo-dice-la-Costituzione e lo-dice-il-papa-re.
Poco importa se quella di Soros-che-finanzia-l'indipendenza sia una bufala gigante, scaturita da un articolo ripetuto ad infinitum in cui si dà conto di un finanziamento da parte di Open Society, l'organizzazione del filantropo palindromo, a una "organizzazione diplomatica" catalana.
Il finanziamento c'è stato, documento pubblicato alla mano, ma ad una manifestazione sull'immigrazione che con l'indipendenza non ci azzeccava proprio nulla. E poi di ben ventisettemila dollari, un capitale degno di De Paperoni, praticamente il prezzo di un'automobile media. Per il signor palindromo, meno di un'elemosina, altro che "finanziamento". E poi, francamente, che interesse potrebbe avere il signor destabilizzator dell'Ucraina e del Medio Oriente e dell'Europa tutta tramite l'invasione dei migranti a destabilizzare la piccola Spagna di Rajoy, tra l'altro uno dei più fedeli servitori dell'oligarchia europea e massonico-internazionale? Siamo seri, suvvia.
Però nulla. Controordine compagni, per gli ex indipendentisti i fratelli catalani sono diventati arcobaleno Glbt immigrazionisti mescolazionisti kalergici piscia-per-strada (dalla celebre foto radical provocatoria della portavoce del sindaco di Barcellona, che con l'indipendentismo ci azzecca quanto me con il surf) e che il diavolo li porti. Ordine e disciplina, ritorni Francisco Franco, cribbio.
E veniamo ora alla sinistra rosé. Quella per cui bisogna delegare la sovranità. L'indipendentismo catalano? Roba da etnofascisti, nostalgici, quelli sono tutti brutti xenofobi. E peccato che tra le foto degli indipendentisti in marcia vi siano simpatici sikh con il turbante o donne in niqab o ragazze nere con i cartelli "Io sono catalano" scritto in català, naturalmente. Quelle che per gli ex indipendentisti leghisti sono "dimostrazione del diavolo immigrazionista zecca comunista celato negli indipendentisti catalani", per i rosé semplicemente non esistono. Non li hanno visti. Desaparecidos. Tutti pericolosi etnofascisti.
Lasciamo perdere poi i sovranisti, che cito solo di striscio. La nuova religione sovranista è statolatrica. Lo Stato non si tocchi, è il baluardo contro il superstato massonico globalizzato. E peccato che lo "Stato nazione" idolatrato non sia altro che la creatura frankensteiniana ottocentesca massonica-giacobina, cucita ad immagine e somiglianza degli interessi della grande borghesia capitalistica, quella stessa che oggi vorrebbe lo Stato unico europeo e prossimamente pure mondiale. Lamentano lo "Stato artificiale" Ue e poi venerano come reliquie dei santi lo "Stato nazione artificiale" italiano, i suoi miti e i suoi riti massonici e giacobini a partire dalla bandiera.
I sovranisti hanno capito tutto e chi attenta al loro feticcio è il Male che vuole regalare tutto ai Poteri Forti. Amen. Mancano le scie kimike ma quelle le lascio volentieri all'immaginazione.
Insomma, ciascuno nel valutare l'indipendentismo catalano non valuta i fatti ma la propria ideologia di partenza. Perché l'enorme equivoco su cui i media mainstream hanno marciato per trent'anni è proprio questo: "lo Stato è sacro e chi lo vuole disgregare è leghista, fascista (sic), xenofobo", magari anche idrofobo, pedofilo e citofono, ché le parole greche fanno sempre molto figo quando devi insultare o confondere qualcuno a mo' del latinorum di Don Abbondio dei Promessi sposi.
D'altra parte, un popolo, quello italiano, che non esiste e i popoli (quelli sottomessi e fiaccati dallo Stato italiano) che non sanno più di essere tali né di avere una loro lingua propria, non sono in grado di comprendere davvero che cosa sia un popolo vero, consapevole di esserlo. Che parla una lingua della quale è orgoglioso, che vara una legge per cui il 60 per cento delle canzoni trasmesse alla radio deve essere in catalano, che espone migliaia e migliaia di bandiere indipendentiste fuori dai balconi anche delle scuole. Che non va a lezione di arabo ma organizza corsi di catalano per integrare gli immigrati.
Il cervello massificato e distrutto dal nuovo fascismo della civiltà dei consumi (possiamo far risorgere in qualche modo Pier Paolo Pasolini, per favore? Anche con un ologramma, ma abbiamo bisogno di lui oggi più che mai) non è in grado di capire che un popolo che integra gli immigrati a partire dalla propria lingua è un popolo. Un popolo che rinuncia alle divisioni ideologiche anche estreme (marxisti e centristi, indipendentisti che si sono fatti la guerra e ora sono alleati verso il progetto comune) e marcia compatto in direzione della libertà è un concetto troppo grande per l'atrofizzato cervellino dell'italiano medio.
Se non può classificare un fenomeno in destra-sinistra, guelfo-ghibellino, interista-juventino, progay-omofobo, se non può fare il manicheo, l'italiano si confonde. Perde il senso, va in corto circuito, dice cose strane e buffe, degne del teatro dell'assurdo di Beckett.
Ancora una notizia per tutti, la ripeto: il popolo catalano prima di ogni altra cosa è un popolo. Un popolo che pensa al proprio futuro e non a scannarsi il più in fretta possibile e a divertirsi con le cesoie vicino ai propri gioielli di famiglia per il gusto perverso di fare incazzare la moglie.
Gli italiani, questo, non lo capiranno mai. Anche chi pensava di non essere italiano e ci è ricaduto è destinato a restare schiavo per sempre.
La libertà è un concetto troppo vasto per essere compreso da chi non conosce altri orizzonti ideali di quelli dei confini ristretti della propria misera gabbia.

giovedì 21 settembre 2017

L'irresistibile ascesa del grillino Di Maio a Palazzo Chigi attraverso le immagini più significative

Tutte le tappe principali della grande scalata al potere del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio.

1) Incontrare l'Ispi ovvero la Trilateral italiana, Mario Monti compreso? FATTO.


2) Andare in Israele? FATTO.


3) Andare negli Usa e tentare di accreditarsi ad Harvard (malgrado l'ira di Luttwak)? FATTO.


4) Andare a Napoli e baciare l'ampolla di San Gennaro? FATTO.


Informiamo ora l'onorevole Di Maio che nel 2018 il Ramadan si terrà dalla sera di martedì 15 maggio fino alla sera di giovedì 14 giugno. Può darsi che questo sia anche il periodo elettorale, potrebbe quindi arrivare in tempo ad accreditarsi pure presso la comunità islamica. 
In questo modo, il Vicepresidente della Camera avrà tutte le carte in regola, ma proprio tutte, per potersi presentare agli elettori come un volto nuovo, rivoluzionario e assolutamente anti-sistema.
In bocca al lupo.

Solo un popolo di schiavi analfabeti di ritorno può tollerare corna e mazzate continue senza nemmeno fiatare



Più un popolo è disposto ad abboccare alla propaganda, più la propaganda può essere buttata lì senza particolari studi ne riflessioni. Basta spararla grossa, e i pesci grossi dotati di cervello fino abboccano subito.
Nel Belpaese, a luglio 2017, il tasso di disoccupazione era dell'11,3 per cento. La disoccupazione giovanile è sempre, punto più punto meno, dell'ordine del 40 per cento. In certe aree dello stesso Belpaese veleggia intorno al 60/70 per cento.
E allora il principale organo di stampa filogovernativo del medesimo Belpaese che cosa pensa di fare? Di dare il titolo sulla presunta ripresa dell'eurozona mettendo in luce "l'ampio contributo" dell'immigrazione alla forza lavoro.
E i milioni di disoccupati non immigrati che questo contributo vorrebbero poterlo dare ma non possono? Che cosa dovrebbero pensare, loro, di un titolo di questo genere? Devono convincersi di essere dei fannulloni fancazzisti? Oppure rendersi conto di essere regolarmente, quotidianamente, più volte al giorno, presi per il naso da un regime politico/propagandistico la cui protervia appare sempre più sconfinata?
L'immigrazionismo ideologico e dottrinario non lascia scampo. Ed è gravissimo che ormai un titolo di tal fatta - associato a tutti quelli che predicano come "gli immigrati ci pagano le pensioni", e un'idiozia di questo livello è davvero impareggiabile, soprattutto perché arriva anche da chi presiede l'istituto previdenziale più importante - resti lì, impunito e tronfio nelle sue virgolette. Senza  provocare sommovimenti, insurrezioni, oppure anche non moti di piazza ma almeno di disgusto e di ribrezzo.
Nulla da fare. La schiavitù mentale e l'analfabetismo funzionale indotto hanno sterilizzato in via definitiva e irreversibile la pur minima capacità di indignazione e di ribellione.
Beviamo veleno e respiriamo gas venefici H24 ma non succede nulla.
Al limite gli indottrinati ringraziano, perché per loro sono acqua di fonte e aria di montagna.

mercoledì 20 settembre 2017

"Il Venezuela si ribella al petrodollaro". Ecco perché Caracas fa ancor più paura agli Usa


Una lettura molto interessante, quella dell'articolo uscito ieri sul Manifesto a firma di Manlio Dinucci. Le vicende che vedono le ingerenze statunitensi nel governo bolivariano di Caracas assumono una luce ancor più inquietante, soprattutto alla luce degli accordi stretti nel 2014 tra Mosca e Pechino per uscire dalla valuta americana nei loro interscambi commerciali.

19 SET 2017 — Manlio Dinucci (Il Manifesto)

Cresce la pressione militare statunitense sul Venezuela, paese che nella geografia del Pentagono rientra nell’«area di responsabilità» dello U.S. Southern Command (Southcom), comprendente 31 paesi e 16 territori di America Latina e Caraibi. Il Southcom dispone di forze terrestri, navali, aeree e del corpo dei marines, cui si aggiungono forze speciali e tre specifiche task force. 
Contro il Venezuela potrebbe essere adottata, pur in un diverso contesto, la stessa strategia messa in atto da Usa e Nato in Libia e in Siria: infiltrazione di forze speciali e mercenari che gettano benzina sui focolai interni di tensione, provocando scontri armati; accusa al governo di far strage del proprio popolo e conseguente «intervento umanitario» di una coalizione a guida Usa. 
Tale scenario è più probabile dopo quanto annunciato il 15 settembre dal Ministero venezuelano del petrolio: «A partire da questa settimana si indica il prezzo medio del petrolio in yuan cinesi». Per la prima volta il prezzo di vendita del petrolio venezuelano non è più indicato in dollari.
È la risposta di Caracas alle sanzioni emanate dall’amministrazione Trump il 25 agosto, più dure di quelle attuate nel 2014 dall’amministrazione Obama: esse impediscono al Venezuela di incassare i dollari ricavati dalla vendita di petrolio agli Stati uniti, oltre un milione di barili al giorno, dollari finora utilizzati per importare beni di consumo come prodotti alimentari e medicinali. Le sanzioni impediscono anche la compravendita di titoli emessi dalla Pdvsa, la compagnia petrolifera statale venezuelana. 
Washington mira a un duplice obiettivo: accrescere in Venezuela la penuria di beni di prima necessità e quindi il malcontento popolare, su cui fa leva l’opposizione interna (foraggiata e sostenuta dagli Usa) per abbattere il governo Maduro; mandare lo Stato venezuelano in default, ossia in fallimento, impedendogli di pagare le rate del debito estero, ossia far fallire lo Stato con le maggiori riserve petrolifere del mondo, quasi dieci volte quelle statunitensi. 
Caracas cerca di sottrarsi alla stretta soffocante delle sanzioni, quotando il prezzo di vendita del petrolio non più in dollari Usa ma in yuan cinesi. Lo yuan è entrato un anno fa nel paniere delle valute di riserva del Fondo monetario internazionale (insieme a dollaro, euro, yen e sterlina) e Pechino sta per lanciare contratti futures di compra-vendita del petrolio in yuan, convertibili in oro. 
«Se il nuovo future prendesse piede, erodendo anche solo in parte lo strapotere dei petrodollari, sarebbe un colpo clamoroso per l’economia americana», commenta il Sole 24 Ore. 
Ad essere messo in discussione da Russia, Cina e altri paesi non è solo lo strapotere del petrodollaro (valuta di riserva ricavata dalla vendita di petrolio), ma l’egemonia stessa del dollaro. Il suo valore è determinato non dalla reale capacità economica statunitense, ma dal fatto che esso costituisce quasi i due terzi delle riserve valutarie mondiali e la moneta con cui si stabilisce il prezzo del petrolio, dell’oro e in genere delle merci. 
Ciò permette alla Federal Reserve, la Banca centrale (che è una banca privata), di stampare migliaia di miliardi di dollari con cui viene finanziato il colossale debito pubblico Usa – circa 23 mila miliardi di dollari – attraverso l’acquisto di obbligazioni e altri titoli emessi dal Tesoro. 
In tale quadro, la decisione venezuelana di sganciare il prezzo del petrolio dal dollaro provoca una scossa sismica che, dall’epicentro sudamericano, fa tremare l’intero palazzo imperiale fondato sul dollaro. Se l’esempio del Venezuela si diffondesse, se il dollaro cessasse di essere la principale moneta del commercio e delle riserve valutarie internazionali, una immensa quantità di dollari verrebbe immessa sul mercato facendo crollare il valore della moneta statunitense. 
Questo è il reale motivo per cui, nell’Ordine esecutivo del 9 marzo 2015, il presidente Obama proclamava «l’emergenza nazionale nei confronti della inusuale e straordinaria minaccia posta alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati uniti dalla situazione in Venezuela». 
Lo stesso motivo per cui il presidente Trump annuncia una possibile «opzione militare» contro il Venezuela. La sta preparando lo U.S. Southern Command, nel cui emblema c’è l’Aquila imperiale che sovrasta il Centro e Sud America, pronta a piombare con i suoi artigli su chi si ribella all’impero del dollaro.

lunedì 18 settembre 2017

"Turista tedesca violentata a Roma". Dai salotti e dalle piazze una sola domanda: "Lui era autoctono o straniero?"



Nei salotti e nell'oligarchia al potere, persone chic e uomini di regime sperano tutti. in silenzio, che si tratti di un autoctono, meglio ancora, magari, un altro carabiniere. Tra il "popolo populista", al contrario, non si vede l'ora di sapere che sia stato un altro straniero, così da rinforzare e sottolineare quel che già appare piuttosto chiaro, ovvero l'idiozia di aggiungere criminali di importazione a quelli nativi.
L'autore è autoctono o straniero? Questa la vera domanda che serpeggia, inespressa dai media, sull'ultimo caso di stupro, quello della turista tedesca trovata a Roma da un taxista di passaggio, nuda e legata, a Villa Borghese.
Diciamolo chiaro e tondo: gli imbarazzi delle veline e dei titolisti ("parlava italiano") e degli estensori delle cronache dell'ultima violenza di una lunga serie della quale le stesse cronache hanno deciso di occuparsi sono tutti lì, sospesi tra la paura della nuova "ventata populista" o della "ventata pro-immigrazionista" che si leverebbe nell'uno o nell'altro caso.
Qualunque sia poi la risposta, quando arriverà, sarà ormai a questo punto del tutto ininfluente. Perché questo è il dibattito oggi, in un Paese sempre più decomposto, moralmente stremato, annegato nelle proprie insanabili contraddizioni e privo di qualsiasi prospettiva politica, culturale, economica, ma soprattutto morale. Guelfi e ghibellini, fascisti e antifascisti, pro vax e no vax, sovranisti ed europeisti, populisti e banchieristi, immigrazionisti e primaglitalianisti. Stop.

Non c'è altro da aggiungere, se non un pensiero alla vittima. Uno solo. 
Almeno quello della Camera a Nord va a lei e solo a lei.
A tutti gli altri "apoti" (per dirla con Prezzolini) un unico consiglio: alzatevi e scappate, se ci riuscite. Fatelo. Il più lontano possibile da questo bordello sempre più infimo chiamato italia con tutte le sue comparse di rango adeguato.
Il nulla ci ha ormai raggiunti, qui non ci può più essere salvezza. Fuggite, sciocchi.

sabato 16 settembre 2017

Ormai è certo: lo smartphone è il male assoluto. Una posizione luddista? E pazienza.


Il video di Moby, quello che descrive un mondo angosciante in cui chi non vive associato allo smartphone H24 è perso per sempre, ma in fondo quel che è perso in se stesso è proprio il mondo, sembrava una cupa esagerazione. E invece no. Sono bastati ancora pochi casi di cronaca per superare il cartone animato che potete guardare qui sopra. Basti ricordare il turista italiano massacrato di botte in Catalunya mentre tutti riprendevano la scena. Non serve aggiungere altro.
Ora siamo arrivati al "riconoscimento facciale" promesso dall'Iphone X. In rete si trova una immagine satirica a sua volta orrifica e con un evidente riferimento al film Alien, personaggio creato dall'immaginifico Giger.


Esagerazioni? È sufficiente andare per strada, osservare le persone, nelle sale d'aspetto, nella metro, sui mezzi, e purtroppo anche molto spesso alla guida per riscoprire un'umanità alienata come mai nessun profeta dell'alienazione si sarebbe mai immaginato qualche decennio fa, quando "alienazione" era la parola di moda nella bocca e nelle penne degli intellettuali apocalittici.
Nei ristoranti oggi non si comunica, quanti tavoli in cui la simbiosi malefica persona-macchinetta si riflette nella stessa simbiosi malefica di chi sta davanti. Ma è così anche nelle nostre case. Almeno, davanti alla tv, ci si poteva ritrovare. Con questi aggetti maledetti no. Li vedo usare al cinema (meglio del film?), ai concerti ("faccio un live"), nelle gite scolastiche. Fino a quella imbecille di un ministro della disistruzione italiana che vorrebbe pure liberalizzarli tra i banchi, per completare l'assuefazione degli studenti all'idiozia e all'ignoranza di regime.
Siamo tutti sotto controllo. Siamo dentro fino al collo nel controllo globale. Liberi di regalare a chi vuole conoscerli, tutti i particolari delle nostre vite. Le nostre parole, le nostre immagini, i nostri pensieri aperti e quelli occulti. Si sa dove siamo in ogni momento, dove siamo stati e anche dove andremo. Quello scrigno maledetto che ci portiamo in tasca, divenuto il nostro alter ego, è una sorta di "anello" (quello del Signore degli Anelli) che si fa continuamente toccare, diteggiare, smanacciare, baciare ben oltre le nostre stesse volontà ed è una sorta di scatola nera di noi stessi, a completa disposizione dei nostri controllori. Noi invece non lo controlliamo più.
È una droga che collega direttamente i nostri neuroni alla grande Rete in cui tutto è messo in circolazione. Ché chi deve sapere sappia.
Orwell non c'era arrivato. Nemmeno lui. Erano i maxischermi a garantire il controllo sociale, il Grande Fratello. E invece no. Lo schermo è invece piccolo, e ce ne sono tanti quanti siamo noi che ci seguono appiccicati alle nostre carni in ogni nostro passo. L'incubo totalitario di Orwell nasceva dal collettivismo, d'altra parte, mentre l'incubo che si è realizzato per davvero  nasce invece dalle promesse del Paese dei Balocchi dell'individualismo sfrenato.
Tanti dicono "è il progresso", anche il semplice telefono sembrava un mezzo del diavolo appena venne inventato. Lo smartphone è però un'altra cosa. Mai è esistito un mezzo di comunicazione che li raggruppasse tutti, che desse l'illusione di avere il mondo in tasca con parole, immagini, suoni in tempo reale,  mentre in realtà altro non è che un paradiso artificiale che ti succhia sempre di più, fino a perderti nell'indistinto. E a farti perdere il senso della realtà vera.
Una posizione luddista, antiprogressista, reazionaria, conservatrice, bigotta? Pazienza. "Non tutto quel che viene dopo è progresso", scriveva il Manzoni, in uno dei suoi pochi pensieri a mio avviso condivisibili.
Quindi? Giusto che parli di me. Ho aspettato un bel pezzo a cedere al touch screen e a tutto quel che c'è sotto. Ne ho sempre usati di non miei, oggetti scartati dai familiari, più avanti di me in questa corsa all'alienazione dalla propria umanità.
Il mio attuale è vecchio, ha il vetro crepato, la batteria che tiene poco la carica. E non vedo l'ora che smetta di funzionare del tutto. Perché non lo sostituirò.
Voglio tornare a vivere, a respirare, a comunicare come e quando decido io, e non perché obbligato da un fischio, un lampo, un trillo, un richiamo di una sirena che lega e ti perde per sempre in un mondo già fin troppo perso per conto suo.

giovedì 14 settembre 2017

Repubblica, l'organo di propaganda della borghesia euro atlantica, piange lo stop allo jus soli. Vi suggerisce niente?


di Valter Rossi
E’ utile seguire la Repubblica, quale organo di propaganda e informazione della borghesia euro atlantica. Oggi Ezio Mauro è inviperito perché lo ius soli non potrà essere approvato da questo parlamento. Mancherebbe una maggioranza per farlo, intanto, e, cosa inspiegabile per il nostro, avrebbe prevalso la paura anche a “sinistra” per varare un provvedimento che il popolo non percepisce come urgente, necessario. Mauro insiste sul clima di pesante condizionamento esercitato dalle due forze politiche (inequivocabilmente di destra, secondo lui) che lo impensieriscono (che minacciano la “democrazia”): Ln e M5s. 

È da tutta la legislatura che Repubblica addita questi partiti come il male reale del paese, ma oggi il Big Jim del pensiero unico scaglia qualche dardo anche contro la sinistra, rea di aver adottato una politica di prudenza su una questione “vitale” per il futuro dell’Italia. Sarebbe mancato il “coraggio” di agire anche contro un sentire diffuso sul problema degli immigrati, e che cioè gli italiani hanno letteralmente paura di quello che sta accadendo. Nonostante gli appelli reiterati sulla “risorsa” che costituisce l’immigrazione, nonostante la campagna martellante sul fascino del multiculturalismo, sull’immagine accattivante della società multietnica, all’insegna del “meticcio è bello”, la borghesia “no border” deve prendere atto della paura di un popolo smarrito, frastornato, imbarbarito dal crollo dello Stato sociale e stressato da condizioni di vita sempre più disagevoli. Sono i sondaggi a certificarlo. 
Mauro però lascia capire che questa grande fetta di popolazione che ha paura è solo la parte più ignorante del paese. Non si spinge a dire apertamente che sono tutti xenofobi, razzisti o fascisti, ma lo fa intendere. Solo a sinistra (la sinistra euro atlantica, sia ben chiaro) ci sarebbe invece la consapevolezza di un processo ineluttabile, anzi, positivo. A questa sinistra però mancherebbe solo l’audacia per procedere con quello che il destino ci impone di adottare come atto dovuto. È un trucco, una menzogna, ma tanto basta per creare un incanto umanitario. Nessuno spiega perché gli immigrati dovrebbero salvare il paese o i conti dell’Inps: il sistema è votato al crollo, con o senza gli immigrati. Per Mauro siamo un popolo facilmente suggestionabile, lo confermerebbe anche la presenza del movimento Novax, che palesemente rifiuta i vantaggi della scienza medica. Chi lo avrebbe detto? 
Hanno dedicato tutta la vita e tutte le risorse per distruggere ogni idea di socialismo, ogni possibile forma di costruzione vera dell’autocoscienza, di emancipazione, di costruzione di rapporti sociali liberi dall’oppressione del capitale; combattono in prima linea la battaglia della reazione mondiale, dell’imperialismo, della schiavitù salariale, e poi si dichiarano sorpresi se tutto va a rotoli, se il paese è allo sfascio. Che facce da… Big Jim…

martedì 12 settembre 2017

Tramonta per ora lo jus soli. Laddove non potè il buonsenso potè la paura. Di perdere le elezioni


Anche l'ultimo giapponese rimasto a combattere la battaglia da solo sull'isola ha capitolato, almeno per il momento. Il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda ha dovuto rinunciare all'idea, strenuamente difesa malgrado gli avvertimenti del segretario del partito Renzi, di varare lo jus soli "entro l'autunno".
"Per approvare una legge serve una maggioranza che ora al Senato non c'è", si ora dovuto arrendere all'evidenza. Naturalmente ha auspicato da parte sua che "il lavoro politico che si farà nei prossimi giorni e settimane porti a una soluzione positiva del problema". Giurando infine di voler approvare la legge, ma ammettendo che "per farlo è necessario il dibattito, ma soprattutto servono i voti..."
Che però al Senato non ci sono. Perché nessuna forza politica - a parte gli scissionisti piddini "di sinistra" - si vuole presentare alle urne intestandosi un provvedimento sempre più percepito per quello che è: un nonsenso pieno e completamente inviso all'opinione pubblica alla luce del cambio di rotta su tutta la questione dell'immigrazione.
Insomma, regalare la cittadinanza a 800mila immigrati delle seconde generazioni con un automatismo mascherato e senza alcuna prova di integrazione non può essere più considerato uno scherzo politico senza conseguenze. Quanto accaduto nel 2005 alle banlieue di Parigi (nella foto sopra) proprio per le sollevazioni delle seconde generazioni di immigrati, tutti cittadini francesi, sarebbe dovuto servire da monito. Ma per ricondurre i piddini alla ragione c'è voluto altro.
L'ostinazione con cui il Pd ha tentato di servire le proprie clientele immigrazioniste, con un provvedimento che avrebbe funzionato da ulteriore enorme richiamo di persone da dare in pasto alla tratta degli schiavi con lo specchietto della cittadinanza per i loro figli, si è allentata non per le semplici considerazioni di buon senso, né per l'opposizione di base della stragrande maggioranza dei cittadini di questo Stato, bensì per un mero e bieco calcolo elettorale.
Contano di più i voti degli elettori, in questa fase della vita politica, dei benefici concessi all'indotto del prospero settore dell'importazione di nuovi schiavi.
Scampato pericolo, insomma, ma solo per il momento. Non ci si illuda: un traffico che rende "più del traffico di droga" e il dumping sociale tanto caro al capitalismo finanziario continueranno a fare comodo ai padroni del vapore politico ancora per un bel pezzo.

giovedì 7 settembre 2017

L'unica pornografia è nel fatto che gli stupratori multikulti erano qui, liberi di agire e coccolati dall'esercito dei benpensanti


Chi cerca i particolari dell'orrendo stupro di Rimini in queste righe vada da un'altra parte, qui non li trova. Non perché chi scrive appartenga alla specie di chi non li avrebbe voluti rivelare. Tutt'altro: è il silenzio che uccide, non il fatto che si parli con chiarezza di quel che è accaduto a causa di responsabilità precise e nette. Non li trova perché c'è una pornografia molto più sconcia: si sappia bene che, se si è donna, si rischia normalmente di venir macellate e rovinate per sempre da parte di esseri che non dovrebbero essere in condizioni di farlo. Per il semplice fatto che, se questo fosse un Paese civile, certi esseri non dovrebbero essere qui tranquilli e vezzeggiati, mantenuti e riveriti dalla classe al potere e di quella dei pennivendoli al suo servizio.
Se quasi tutti i giornali questa volta hanno diffuso il verbale dei racconti orripilanti della ragazza polacca, uccisa dentro e fuori dai giulivi e benvestiti cuccioli multikulti liberi di ammazzare ancorché formalmente espulsi perché delinquenti, hanno fatto soltanto il loro lavoro, una volta tanto, uscendo dal coro rituale del conformismo giustificazionista bieco e trito.
E si risparmino pure il loro tempo e vadano da un'altra parte quelli che dicono "sì ma gli italiani", "sì, ma gli stupri sono soprattutto in famiglia". Chi giustifica un criminale importato con il fatto che ne esistono di autoctoni (in percentuale tra l'altro nettamente inferiore rispetto alla percentuale complessiva degli importati) non è degno di un dibattito civile. Si tengano pure il "Sì ma le foibe" che viene risposto loro quando si denunciano i crimini del fascismo, se lo incartino e se lo portino a casa. È roba putrefatta che va bene per questi pensatori da discarica del pensiero avariato, tipica dei pelosissimi pronti a vender pure la propria madre in nome dell'ideologia e dei padroni che amano tanto servire con o senza consapevolezza di essere il loro zerbino.
Sì, perché il problema non sono lo stupro e il macello ma il dibattito, sostiene la Presidenta Boldrini, di solito così scandalizzata dalle parolacce che le vengono rivolte sui social. Il problema delle dame dei salotti non è il rischio di essere massacrate, doppiamente penetrate e devastate che si corre ad andare per strada, ma che Salvini-Il-Diavolo-In-Persona prenda un punto in più alle elezioni. Perché per i benpensanti il rischio di finire vittima di un crimine perpetrato da una Risorsa-Che-Ci-Paga-Le-Pensioni è inesistente, soltanto percepito. E chi afferma il contrario è un Razzista-Da-Mandare-Al-Rogo.
Ecco, che i benpensanti lo vadano a raccontare alla povera ragazza, dopo di che si scavino una fossa e si suicidino in tutta tranquillità.
Questa è la vera pornografia, la più schifosa e indecente.
La stessa esistenza di un sistema grazie al quale sono liberi di circolare cullati e pagati, malgrado espulsioni e condanne personaggi di quella fatta, è estremamente pornografica e indecente.
Èd è pure estremamente pornografico sapere che esistono mediatori culturali immigrati assunti nelle cooperative di accoglienza che pubblicano post sui social giustificazionisti dello stupro "perché poi la donna si calma e gode come in un rapporto sessuale normale". Ma come li selezionano?
Pornografico laido è sapere che - secondo lo jus soli che la classe politica al potere vorrebbe per soddisfare i loro padroni internazionali - quegli esseri non solo sarebbero qui malgrado l'espulsione, ma sarebbero pure cittadini italiani.
Pornografico imperdonabile e senza sconti è il silenzio delle inquantofemministe.
Quelle per cui il Circeo va denunciato fino in fondo soltanto se gli autori sono fascisti, se non lo sono allora che si vuol fare, magari sono le stesse stuprate che hanno provocato e non si deve fomentare il razzismo.
Questi ultimi campioni sono migranti e minorenni, quindi un pater ave e gloria, un po' di silenzio e reinseriamoli in pace tra due o tre anni se non prima.
Estremamente pornografica e ributtante è pure la scelta - unica nel mondo - di forze politiche, come il Pd e il M5S, che hanno votato una legge che proibisce il rimpatrio dei minorenni stranieri, qualunque cosa abbiano combinato.
Questa è l'italia squallida e pornografica del 2017.
Non ci resta, a questo punto, che confidare nel carattere e nella memoria lunga dei polacchi. 
Loro, al contrario della svergognata classe politica italiana, saprebbero bene che cosa fare degli esseri che hanno rovinato per sempre, e nel modo più crudele, una loro concittadina, una donna.

Ultime notizie: la zanzara Anofele è autoctona. Oppure scappa dalla guerra. O forse è stata pagata da Big Pharma?


Ricapitolando: nel Belpaese, nel 2017, ci sono casi di malaria, ma per saperlo abbiamo dovuto aspettare una vittima. Altrimenti, tutti zitti, tuttapposto come si dice oggi. Eppure nello stesso identico ospedale in cui la vittima era ricoverata c'erano altri malati di malaria.
Del Burkina Faso, non di Merano.
E il Trentino - Sudtirol è un'area in cui - si dice, ma oggi tutto è da mettere in dubbio se vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole - la zanzara anofele, il vettore della malattia, non vive e non prolifera tra le specie animali autoctone.
Poi scoppia il caso letale ma, come sempre quando l'opinione pubblica si pone domande legittime e doverose in merito alle provenienze di malattie qui scomparse dai tempi delle bonifiche e sulla profilassi (non) seguita per evitarle, ecco il solito scomposto stracciarsi di vesti e l'agitarsi delle code di paglia d'ordinanza.
Scienziati, giornalisti, preti, imbonitori politici e il complesso della propaganda mainstream si sono affrettati con i consueti tromboni e trombette a dichiarare che "gli immigrati non c'entrano". Anzi, di più: "Ma profughi e immigrati non c'entrano niente", come ha dichiarato tondo e netto in un titolo del "TrentinoCorriereAlpi.gelocal,it" l'assessore alla sanità della provincia di Trento, Luca Zeni. Salvo poi inciampare nelle proprie contraddizioni: "Noi abbiamo 8 o 10 casi all'anno di malaria di importazione. Si tratta sia di stranieri che vanno nei paesi di origine che di italiani che vanno per vacanza o per lavoro. Quindi dovremmo vietare tutti i viaggi all'estero, ma sarebbe una cosa assurda. Il tema immigrazione non c'entra. Purtroppo la malaria si può contrarre. La peculiarità del caso è che è stata contagiata una persona che non è stata all'estero".
Dalla verità politica e propagandistica ufficiale si può quindi desumere che:
1) La anofele con relativa malattia allegata, in realtà, è specie autoctona del Trentino - Sudtirol.
2) Nel caso in cui questo non sia, allora la zanzara scappava dalla guerra. Come è noto, le zanzare migrano, fuggono dalla miseria e non le si può fermare.
3) Nel caso in cui invece si fosse per caso intrufolata in una valigia di un viaggiatore di ritorno dalle zone malariche, la valigia era sicuramente quella di un europeo e non quella di "un migrante o un profugo" (che non c'entrano nulla), e non l'ha fatto perché zanzara clandestina ma perché voleva andare in Europa a vendicare giustamente tutti i torti compiuti dall'Occidente verso il Terzo Mondo.
Se poi anche si fosse nascosta in un bagaglio dei "migranti", che c'entra? Si sapesse quante si nascondono nei bagagli degli occidentali, c'è posto per tutti e le zanzare sono comunque creature viventi che hanno tutti i diritti degli altri di essere accolte. Basta con questo specismo antropocentrico.
C'è poi - visto che è stato fatto notare che fra poco sarà disponibile un vaccino contro la malaria  (evviva ma non troppo, c'è chi ritiene la malaria un giusto castigo contro l'empietà della specie umana), una quarta possibilità:
4) La zanzara è stata pagata lautamente da Big Pharma perché creasse artificialmente la necessità di evitare i contagi e regalasse alle case farmaceutiche la possibilità di lucrare su un nuovo prodotto.
Do infine per scontata la quinta possibilità, ovvero
5) Le zanzare portatrici della malaria sono diffuse attraverso le scie chimiche.
Di certo, quest'ultima, è molto più credibile di tutte le altre verità ufficiali.

mercoledì 6 settembre 2017

Jus Soli, il Pd verso il ritiro: l'esperienza dei topini da laboratorio arriva al Nazareno


Premere il tasto giusto, ottenere cibo. Un gesto apparentemente banale e di facile apprendimento anche per i celebrati topini che nei laboratori si utilizzavano per comprendere il funzionamento dei riflessi condizionati nel mondo animale.
Se le notizie di queste ore non saranno smentite, l'esperienza dei topini da laboratorio sarebbe ora replicata nelle stanze del Nazareno a proposito della controversissima iniziativa legislativa per l'introduzione dello jus soli temperato che - per cocciuta e autolesionista volontà del Pd - si vorrebbe applicare a favore degli immigrati di seconda generazione anche in questo Paese. Ovvero nel posto giusto al momento giusto. Giova ricordare che sono proprio gli immigrati di seconda generazione quelli che in Francia o in Belgio o in Gran Bretagna, ormai diventati cittadini, sono balzati alle cronache in questi anni per aver generato o fiancheggiato migliaia e migliaia di foreign fighters poi divenuti jihadisti e stragisti, oppure per aver ingrossato e non di poco le fila della criminalità di ogni dimensione.

Narrano le cronache, diffuse poco dopo le dichiarazioni del capogruppo piddino al Senato Luigi Zanda che ancora poche ore fa ribadiva la volontà di arrivare all'approvazione del provvedimento anche a costo del voto di fiducia, che i sondaggi per il maggior partito di governo sarebbero disastrosi.
L'ostinazione nel voler aprire in questa fase storica nuove finestre a favore degli immigrati costerebbe al Pd la riduzione di due punti percentuali ogni mese che passa. Un trend tale per cui, prima del voto, il consenso residuo all'ex Pcd-Pds-Ds potrebbe davvero ridursi a percentuali storiche infime.
In ogni caso i numeri al Senato non ci sarebbero lo stesso nemmeno per la fiducia. Colpa - o merito - in particolare dell'ex ministro degli Interni Alfano, ovvero, paradossalmente, proprio di quel politico di fatto responsabile negli ultimi anni del boom degli arrivi di clandestini o profughi presunti sul territorio dello Stato.
Oggi però, più che i favori al nutrito indotto dell"accoglienza", contano i favori da fare ai prossimi elettori. Quindi ecco il probabile dietrofront. Più dell'ideologia potè il digiuno (di voti). 
Premere tasto giusto, ottenere voti, quindi? Ci provano, ma sarà comunque molto complicato riuscire a far dimenticare, ad un'opinione pubblica esasperata e sempre più disperata, anni e anni di una politica delle porte spalancate e dei favori ultramilionari continui a tutti i professionisti dell'accoglienza proprio in un periodo di impoverimento generale della società.

Certo non deve essere nemmeno facile spiegare agli elettori che tre degli stupratori di Rimini, minorenni, due dei quali già espulsi per criminalità con tutta la famiglia ma qui presenti sempre per grazia della magistratura, con lo jus soli approvato sarebbero stati oltretutto anche cittadini italiani.
Se dietrofront sarà, quindi, soltanto gli elettori potranno valutare la portata di una politica costruita non sul bene dei cittadini ma esclusivamente sull'onda dell'inseguimento del consenso purché sia. Che se al Nazareno ragionano come i topini da laboratorio non è affatto detto che il "popolo sovrano", per quel poco che gli resta della propria sovranità, sia disposto a fare altrettanto.

sabato 2 settembre 2017

Ha ancora senso scrivere controcorrente? Le parole, come la pazienza, stanno finendo. Il caso degli stupri



Ma serve ancora scrivere controcorrente? Serve ancora scrivere? Se il giornalismo è ridotto a una cieca propaganda sempre più ridicola e autoreferenziale, se le cariche dello Stato e chi lo governa continuano a compiere stragi di ciò che resta ancora in piedi del senso comune delle cose, se le voci di chi si ribella sono informi, scoordinate e messe a tacere dalle sante inquisizioni in servizio permanente continuo, a che vale continuare a gridare nel deserto dei cervelli e delle anime?
La storia degli stupri di cui si riempie la cronaca in questi giorni è esemplare. Agenzie di informazione, grandi testate corazzate (sempre più sbrecciate e sbeccate) e portavoci vari ci stanno ammorbando con la velina d'ordine: spiegare che "stuprano più gli italiani degli stranieri". Ma va? Quanti italiani ci sono in questo Stato e quanti stranieri? Eppure il quaranta per cento degli stupri è commesso dall'otto per cento dei residenti, ovvero la percentuale di immigrati. Che cosa significhi è cosa talmente banale che non varrebbe nemmeno la pena, in una comunità di cerebralmente normodotati, di spiegare - conti alla mano - che gli stranieri stuprano almeno quattro volte più dei cittadini. Le cifre dicono questo
Che cosa si vorrebbe quindi dimostrare, con questa campagna mistificatoria che stropiccia i numeri come se fossero le tre carte dei truffatori? È chiaro, è soltanto una solenne presa in giro per gonzi di infimo ordine. Eppure in quanti ci cascano sempre, e con tutti e due i piedi.
Anche perché le voci che si levano per denunciarla sono praticamente marginali. Ora ci metto anche la mia, ma a che vale? Uno sbadiglio politicamente corretto e anche il mio fiochissimo lumino viene fatto spegnere nel buio delle intelligenze. Un tempo i "progressisti" si schieravano con chi gridava che il re era nudo. Oggi consumano le lingue nel leccargli i vestiti inesistenti.
Belle poi certe alte cariche dello Stato (ecco, la presidente della Camera Laura Boldrini, per esempio), che sempre molto loquaci contro la violenza delle donne e contro la grammatica, si ammutoliscono oa di fronte a una violenza che ha per autori gli intoccabili. Ed ecco quindi la frase magica: il problema non è più "la violenza" ma "il dibattito sulla violenza". La colpa è del dibattito.
E poi, in tema, c'è anche quel geniale assessore di Cinisello Balsamo targato Pd a proposito dello stupro della signora ottantunenne al Parco Nord: anche per lui il problema non è la violenza ma "la becera propaganda leghista". Eh sì, se si ha la febbre la colpa è sempre del termometro. E il primo pensiero dopo lo stupro non è di preoccuparsi per la vittima ma di allarmarsi per Salvini.

D'altra parte, questo signore era lo stesso che non voleva credere che qualcuno avesse violentato una signora ottuagenaria proprio nel suo adorato parco dove va a correre e - giura - non ci sono problemi.
Aveva pensato che anche questa era propaganda, con un epic fail di quelli che però nessuno fa notare.

Che dire? Siamo in mano a personaggi di questa levatura politica, di una lungimiranza al cui confronto quella di una talpa nella tana è la paragonabile a quella di un osservatorio astronomico.
Eppure nei social e nei salotti il mainstream, come ordinano le veline, si chiude a riccio. Perché -a maggior ragione con l'avvicinarsi delle elezioni - ha sempre più paura e quindi si fa sempre più idiota e cattivo al tempo stesso. E quindi pericoloso. La propaganda suona i suoi pifferi e chi stona è sempre più fuori, come prima e più di prima, mentre i benpensanti volontari e quelli retribuiti sono ancor più pronti a scagliare insulti e anatemi (e quando possibile anche altro) contro le pecore nere che non seguono il gregge.
Ecco, se il livello è questo, a che vale perdere ancora tempo a scrivere, denunciare, farsi venire il sangue cattivo? Molto meglio spezzare la penna, sfasciare gli strumenti di scrittura, lasciarli fare.
Ci pensano i fatti e le inevitabili derive a condurre il gioco. Il dibattito è finito.
Le parole, insieme alla pazienza e alla sopportazione, si stanno esaurendo per davvero. Qualcuno però pensi a un piccolo corollario: finite le parole i problemi continuano. Cambiano soltanto i mezzi per esprimerli e non saranno certo migliori.

giovedì 16 febbraio 2017

Là dove c'era una citta europea ora c'è un pezzo di Sahara. Grazie davvero, almeno siete stati chiari



E così, con supremo sprezzo del ridicolo e altrettanto disprezzo per il paesaggio e per l'architettura milanesi, Piazza Duomo a Milano è stata trasformata, con palme e banani pagati da Starbucks, in un pezzo d'Africa. Quando la piazza era quella raffigurata qui sopra, Paolo Conte scriveva quel celebre verso di "Azzurro": "Cerco un po' d'Africa in giardino, tra gli oleandri e i baobab". Chissà che cosa può pensare oggi di quella sua visione senza dubbio poetica per il suo giardino ma realizzata davvero in modo così pacchiano in uno dei salotti europei un tempo più belli e affascinanti, trasformato in discarica a cielo aperto per tutte le cretinerie à la page.
Non c'è scampo alla globalizzazione, sembrano ordinarci le multinazionali. Un ordine subito ben recepito e attuato dalle "sinistre" al governo che amano tanto il Continente Nero da volerne importare il più possibile là dove non c'era l'erba ma c'era comunque una città non certo tropicale.
Nel 1999, il sindaco Albertini commise da parte sua l'errore madornale di togliere le insegne luminose da Palazzo Carminati. Quei neon erano la storia di una città che ci credeva, investiva, produceva ed era - si diceva allora - MODERNA. Andati, persi per sempre. Ed oggi la modernità di piazza Duomo che ci resta è un paesaggio da cammelli e scimmie. Scenario perfettamente compatibile con le comparsate degli islamici quando scelgono il sagrato di Piazza Duomo - come è già accaduto - come palcoscenico per i loro salamelecchi. Quello che vedete ora, là dove c'erano quelle insegne, quell'albero di Natale e quel presepe della foto, è il perfetto specchio di quello che lorsignori vogliono per il nostro futuro. D'altra parte non ci dobbiamo affatto stupire. Ce l'avevano già detto chiaro e tondo. Quella sotto i nostri occhi è la plastica rappresentazione del sogno boldriniano dello "stile di vita dei migranti che presto sarà il nostro stile di vita". Soltanto "non c'è il leone, chissà dov'è".
In compenso sappiamo benissimo dove si trovano quelli che sono stati leoni la sera prima. Sono lì, tronfi e gonfi, tutti ben insediati al loro posto a Palazzo Marino, a cinquanta metri dai palmizi a sorseggiare una tazza di brodaglia americana. Alla faccia del nostro nuovo deserto cittadino.

Informazioni personali

La mia foto
Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it