venerdì 6 aprile 2012

Salviamo la Grecia dai suoi salvatori: firmiamo anche noi

Un po' in ritardo (l'appello è del febbraio scorso) ma l'urgenza di aderire attivamente ad una visione opposta a quella dei banchieri e degli usurai al potere, che hanno già fatto della Grecia un "esperimento sociale" che ora è in pieno corso di applicazione in italia, è sempre alta. Io l'ho appena firmato. Facciamo circolare l'informazione, per cortesia.

Qui la traduzione in italiano.

Vicky Skoumbi, redattrice della rivista Aletheia, Dimitris Vergetis, direttore di Aletheia, Atene, Michel Surya, direttore della rivista Lignes, Parigi.
“Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.
L’obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su questo punto tutti gli economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme estreme di impoverimento e di precarizzazione.
Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i “rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi), diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40 anni.
Parallelamente, l’Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato dove verrà direttamente versato l’aiuto alla Grecia, perché venga impiegato unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere “in priorità assoluta” devolute al rimborso dei creditori e, se necessario, versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici.. In altri termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione istituzionale.
Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero festino per chi comprerà.
Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C’è da scommettere che questa coorte di piani di salvataggio – ogni volta presentati come ‘ultimi’- non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia, in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori, sotto il ricatto “austerità o catastrofe”.
L’aggravamento artificiale e coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un’arma per prendere d’assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro un’intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare al ‘nemico’ sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o non consumano abbastanza non dev’essere più preservata.
E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d’entrata mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello destinato all’Europa intera e anche oltre. E’ questa la vera questione in gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l’avvenire della democrazia e le sorti del popolo europeo.
Dappertutto la “necessità imperiosa” di un’austerità dolorosa ma salutare ci viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia, chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non meritano una presa di posizione? E’ possibile non alzare la voce contro l’assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio di fronte all’instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori legge l’idea stessa di solidarietà sociale?
Siamo a un punto di non ritorno. E’ urgente condurre la battaglia di cifre e la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della paura e della disinformazione. E’ urgente decostruire le lezioni di morale che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che urgente demistificare l’insistenza razzista sulla “specificità greca” che pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale. Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.
Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall’alternativa “o la distruzione della società o il fallimento” (che vuol dire, lo vediamo oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un’altra Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei “piani d’aiuto” concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio. Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni. Ogni iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?”
Vicky Skoumbi, redattrice della rivista Aletheia, Atene, Dimitris Vergetis, direttore di Aletheia, Michel Surya, direttore della rivista Lignes, Parigi.

Per firmare l'appello (l'orginale in lingua francese) seguite questo link.

http://www.editions-lignes.com/sauvons-le-peuple-grec-de-ses.html

lunedì 2 aprile 2012

Se Mario Monti smentisce Mario Monti. Sacrifici equi o sacrifici rozzi?

Mario Monti, in un impeto di autocritica evidentemente non del tutto sobria, smentisce Mario Monti. O forse il Prof è caduto vittima di uno sdoppiamento di personalità dovuto a troppo stress da jet lag tra Italia ed Asia. Può anche essere che al robottino Monti impersonato dal geniale Maurizio Crozza si sia fuso qualcuno dei proverbiali circuiti di mille valvole. Molto più probabilmente, il premier non sa più che pesci pigliare e, a seconda delle circostanze e degli interlocutori, emette le prime frasi di circostanza che gli vengono in mente pur di tentare di difendersi dal precipizio in cui ha iniziato a sprofondare in silenzio la sua popolarità.
Fatto è che appena lunedì scorso, con la testa letteralmente tra le nuvole in quanto sul volo di Stato che lo trasportava a Seul, l’ineffabile Prof, con i sobri toni di circostanza che gli sono consueti, cercava di convincere i giornalisti e i cittadini del Belpaese che gli esponenti del Governo avessero «cercato in questi mesi di essere equi nel distribuire i sacrifici». Malgrado i giornalisti si siano fatti convincere senza troppa difficoltà, la dichiarazione del premier, naturalmente, cozzava di netto  con la realtà di questi giorni. Non certo quella raccontata all’unisono dagli allineatissimi organi di informazione ma, molto più prosaicamente, una realtà stampata a chiare lettere e a scarsi numeri nelle buste paga di marzo. Per quelli, naturalmente, che una busta paga si possono permettere ancora ancora il lusso (o la monotonia, sempre per usare le parole di Monti) di potersela portare a casa.
Ieri, a sorpresa, le agenzie battevano invece il controordine, sempre proveniente da un Monti in viaggio ad Est, in particolare da Pechino. Alla parola “sacrifici” il presidente del Consiglio  affiancava infatti uno sbalorditivo aggettivo, ben diverso dal primo: non più “equi” bensì “rozzi”.
«Gli aumenti fiscali e tariffari - ha sottolineato il presidente del Consiglio in conferenza stampa -  sono strumenti un po’ rozzi, il risultato differito di decisioni prese in passato». Inutile dire che ne ha comunque difeso quella che ritiene essere la loro ineluttabilità: senza questi sacrifici, ha detto, l’Italia rischiava di finire come la  Grecia. A suo onore, dopo quella frase sul passato che sembrava tanto uno scaricabarile, ha però voluto precisare che per i sacrifici  «sono pronto ad assumermi le mie responsabilità, sono stati introdotti da questo Governo». Per il futuro, ha aggiunto, «dobbiamo dobbiamo trovare strumenti più sofisticati».
Nel frattempo, prima che i sacrifici da “rozzi” arrivino quindi ad essere “sofisticati”, la pace sociale è garantita dal fatto che, malgrado tutto, le piazze restano vuote. Come le nostre tasche.
“Occupy” e l’antagonismo da soli non bastano
Migliaia di manifestanti, soprattutto provenienti dalla sinistra oggi extraparlamentare, dai centri sociali e da alcune sigle dei sindacati di base, ieri hanno dato vita a Milano, sotto la sigla di “Occupy Piazza Affari” ad una manifestazione di rivolta contro «lo strapotere delle banche», si leggeva negli striscioni, e contro la piovra della finanza globale abilmente riprodotta in cartapesta e dai cui tentacoli pendeva la triade Monti-Fornero-Passera. La parte scesa in piazza, tuttavia, resta marginale rispetto alla stragrande maggioranza di un Paese che ancora viene tenuto artificialmente calmo dall’acquiescenza di stampa, tv e sindacati maggioritari. Tutti soggetti ben allineati e coperti con i poteri forti e con i loro rappresentanti fraudolentemente al Governo.
Ben diversa, ad esempio, la situazione in Spagna, dove giovedì scorso i sindacati più rappresentativi hanno dato vita ad uno sciopero generale contro le politiche del premier Mariano Rajoy. Una fermata dal lavoro su tutto il territorio del Regno di Madrid che una fonte come il Sole 24 Ore ha definito «con alto tasso di adesione».
Il punto, però, è sempre lo stesso: lì la sinistra istituzionale, quella che tiene tese e funzionanti le cinghie di trasmissione con i lavoratori ed i sindacati, si trova comoda e tranquilla all’opposizione. Non certo come in Italia, dove pur con mille mal di pancia ed una lacerante guerra interna, le forze che si dicono “di sinistra” rappresentate in Parlamento continuano ad appoggiare la macelleria sociale della triade Monti-Passera-Fornero.
Agli “Occupy”, quindi, viene lasciato volentieri l’incarico di manifestare per conto loro, ma in ordine sparso, e con la sottaciuta speranza che scontri, incidenti o semplicemente gesti un po’ troppo plateali come quelli di ieri contro le banche a Milano, inducano l’opinione pubblica a dissociarsi non soltanto dai metodi di lotta ma anche, di conseguenza, dalle sacrosante ragioni di chi dichiara di volerla combattere.
Un teatro già visto in tante epoche e in tante latitudini. Non saranno certo i mattoni malamente impilati dai manifestanti di fronte all’ingresso della Bnl o la vetrina annerita dell’Unicredit ad impedire che lo scempio sociale si compia. Il balbettio incoerente di chi è al Governo ed il silenzio compiaciuto di chi dovrebbe fare informazione sono ancora una volta al servizio dei potenti.

(pubblicato su la Padania di domenica 1° aprile)

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it