martedì 30 luglio 2013

RETROSPETTIVA / Immigrazione, conflitti in Ruanda, Umanitaria Padana: l'intervista del 2006 a padre Jean-Marie Vianney Gahaya

Giovanni Polli

Il Ruanda, Paese nell’Africa centro-orientale, è stato il teatro di uno tra i più sanguinosi genocidi del XX secolo. Nel 1994, dopo l’abbattimento dell’aereo dell’allora presidente Juvenàl Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, i suoi sostenitori sobillarono la violenza della popolazione dell’etnia maggioritaria hutu nei confronti dell’etnia tutsi. In poco più di tre mesi, a partire dal 7 aprile, vennero massacrate - soprattutto a colpi di machete e di bastoni chiodati - tra un milione e un milione e mezzo di persone, nell’indifferenza pressoché totale del mondo.
Tra le vittime, l’intera famiglia di un giovane sacerdote cattolico, padre Jean-Marie Vianney Gahaya. Padre Jean-Marie fu l’unico sopravvissuto al brutale attacco alla sua casa. Oggi è presidente della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Butare, la seconda città più importante del Ruanda, nonché guida della parrocchia di Rugango. «Soltanto la mia fede - ricorda oggi padre Jean-Marie - mi ha dato la forza per superare tutti i problemi della mia vita».
Nei giorni scorsi, padre Jean-Marie era a Milano, in visita presso l’associazione Umanitaria padana onlus, dove è stato ricevuto dalla coordinatrice, Sara Fumagalli. In quella occasione, abbiamo chiesto al sacerdote di raccontarci come è oggi la situazione in Ruanda, a 12 anni dal genocidio.
«Oggi lavorare nel nostro Paese - racconta padre Gahaya - non è facile perché dobbiamo unire la gente, aiutarla a vivere insieme. Dobbiamo anche ricostruire tutto quello che è stato distrutto. Non è facile spiegare quello che è successo con il genocidio. Riusciamo oggi comunque a fare qualcosa di positivo per la nostra popolazione».
Dal punto di vista politico che cosa è accaduto dal ’94 a oggi?
«Il genocidio è stato fermato nel luglio 1994, con l’ascesa al potere del Fronte patriottico ruandese. Negli ultimi anni si sono svolte libere elezioni e l’attuale presidente Paul Kagameè un buon capo di Stato, il suo è un buon governo e noi abbiamo finalmente la pace».
Com’è oggi il rapporto tra le due etnie hutu e tutsi?
«Diciamo che ora, in questo periodo di pace, l’odio non c’è più. Adesso cerchiamo di ricostruire il Paese».
In particolare, la Chiesa cattolica come sta operando?
«Ricordo che in tutto il Ruanda i cristiani sono oltre l’80 per cento della popolazione, e in particolare i cattolici sono il 55 per cento. La Chiesa e lo Stato dopo il genocidio hanno lavorato tanto con attraverso gli aiuti dall’estero. Si sono iniziate a ricostruire le scuole e a insegnare alla gente la convivenza. Tra gli interventi, sono stati aiutati gli orfani e le vedove del genocidio, ma anche i parenti dei miliziani incarcerati. In particolare, il mio incarico diocesano è quello, attraverso la commissione per la Giustizia e la Pace, ad aiutare le persone a riconciliarsi e a superare l’odio».
Qual è la prima emergenza, oggi?
«La ricostruzione. Durante il genocidio sono stati distrutti anche edifici e strutture civili e quando i massacratori si sono visti sconfitti, prima della fuga, hanno fatto terra bruciata di tutto, dalle scuole agli ospedali. Oggi sono comunque già stati fatti molti passi in avanti per lo sviluppo, in particolare per scuola e sanità».
Lei è impegnato per lo sviluppo nel suo Paese. Che cosa prova quando vede le forze migliori dei Paesi come il suo mandate allo sbaraglio sui barconi dei nuovi trafficanti di uomini?
«Ci sono forze che stanno lavorando per distruggere l’Africa. È un fenomeno come quello dei negrieri che importavano schiavi in America. Gli africani devono restare in Africa per poter dare un futuro a questo Continente ricco sia di mezzi che di risorse naturali. Sono i nemici dell’Africa quelli che vengono a prendere la nostra mano d’opera».
Aiutare i popoli a casa loro è proprio, da sempre, l’impegno dell’Umanitaria padana onlus, ricorda a questo proposito Sara Fumagalli. «Dobbiamo aiutarli ad aiutarsi. Quindi privilegiamo sempre gli interventi sulla formazione professionale. In questo ci siamo trovati in perfetta sintonia con padre Jean-Marie, che ha questa stessa impostazione e porta richieste rivolte in questo senso. Ora aspettiamo la presentazione di un progetto definito di formazione, possibilmente basato sull’utilizzo dell’informatica che oggi in Africa è uno strumento fondamentale per favorire ogni altro tipo di sviluppo perché consente di lavorare e mantenere i contatti in maniera semplice ed economica».
«La diocesi di padre Jean-Marie - ricorda ancora Sara Fumagalli - già si occupa della scolarizzazione di base attraverso le scuole primarie. Con la conoscenza della lingua inglese e la formazione di base, l’utilizzo del computer permette l’apertura di una finestra sul mondo attraverso la quale è possibile far passare lo sviluppo di tutta la società. Siamo in attesa di ricevere un progetto definito, e l’Umanitaria padana non rimarrà di certo insensibile a questa richiesta».

(Pubblicato su la Padania di sabato 23 settembre 2006)

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it