sabato 13 ottobre 2012

Il Nobel alla Ue, un premio per la pace eterna

(pubblicato su la Padania di sabato 13 ottobre 2012)

E il prossimo chi sarà? Probabilmente il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, magari «per il ruolo attivo nel mantenere la pace, l’equilibrio e la stabilità dell’area mediorientale». O, perché no, anche il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, per la sua indubbia capacità di «impedire la pericolosa ulteriore destabilizzazione degli Stati fuoriusciti dall’ex Unione Sovietica». E perché allora non direttamente l’intero governo di Pechino, «per il determinante contributo alla pacificazione del Tibet»? Di motivazioni per un Nobel per la Pace sballato ai personaggi più improbabili ce ne sarebbero a iosa. E se le si volesse cercare, le si troverebbero pure, visto che cosa stanno combinando lassù in Norvegia.
Di certo, negli ultimi anni da quelle parti circola un’aria strana. Nel 2009, infatti, arriva il primo  colpo di scena spiazzante e imbarazzante, vale a dire il Nobel “sulla fiducia” attribuito all’appena eletto presidente statunitense Barack Obama. Un precedente talmente scombicchierato da essere richiamato un po’ da tutti, in queste ore. In effetti, a partire d quel 2009, si è perso il conto delle azioni militari compiute dalle truppe statunitensi, e delle vittime che l’operato dei soldati agli ordini del “Nobel per la pace” ha finito per procurare.
Non contenti di ciò, gli accademici del Nobel sono partiti per la recidiva. Nel bel mezzo di una crisi epocale, causata proprio dalla pretesa degli eurocrati di ridurre ad impossibile unità, omologare e condizionare le disparate economie e diseconomie del continente sotto le insegne della finanza, che cosa di meglio di un altro bel premio “sulla fiducia” ad un’organizzazione che, tra l’altro, non è precisamente ai vertici di popolarità nel Continente intero?
L’operazione appare chiara: tentare un lifting di immagine dando fiato alle sfiatatissime trombe della retorica, da contrapporre a quelli che già da qualche tempo, ancor prima degli “eurogolpe” greco ed italiano venivano già bollati come i “pericolosi populismi”. Vale a dire, le visioni critiche di chi non accetta che siano le banche e la finanza a dover condizionare a qualunque costo la vita dei cittadini europei, a qualunque Stato appartengano.
E così, un’istituzione fresca fresca dello scippo di sovranità del “Fiscal Compact”, che tratta i cittadini come i dipendenti di un’azienda il cui sacrificio debba essere finalizzato al profitto e non al proprio benessere, si vede attribuita il premio che fu, citati in ordine sparso, di Begin e Sadat, di Desmond Tutu, Rigoberta Menchu, Aung San Suchi, Lech Walesa e Michail Gorbaciov, ed ancora Rabin, Peres ed Arafat. Quest’anno l’Accademia ha scelto, in sostanza, di “onorare” le oligarchie finanziarie che agiscono su tutto e su tutti senza essere state legittimate da nessuno se non da se stesse. Complimenti vivissimi.
D’altra parte, a prendere atto delle trombe e trombette suonate per l’occasione, c’è da rimanere di sasso. Se da Oslo il comitato fa sapere di aver premiato la Ue per «aver contribuito per sei decenni all’avanzamento della pace e della riconciliazione, la democrazia e i diritti umani in Europa», da parte dei beneficiati è tutto un fuoco retorico di fila che si commenta da solo: «La riconciliazione - ha detto il solito presidente del Parlamento europeo Martin Schulz - è ciò che l'Unione Europea è. Può servire come fonte di ispirazione. L’Ue è un progetto unico che ha sostituito la guerra con la pace, l'odio con la solidarietà». Tra banchieri e finanzieri, senza dubbio.
Il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso ha twittato: «È un grande onore per l'intera Unione europea e per tutti i 500 milioni di cittadini Ue essere premiati con il Nobel per la pace 2012». Da chiedersi quasi se i circa 850 mila euro del premio saranno poi devoluti a progetti di sostegno dei milioni di cittadini finiti in miseria per le politiche finanziarie di Bruxelles. Ma il “botto” retorico è provenuto dal presidente del Consiglio europeo Herman  Van Rompuy,  che si è gonfiato tanto al punto da rischiare l’effetto esplosivo della rana di Fedro: «La Ue è veramente la più grande istituzione per la pace mai creata nella  storia del mondo». 
I nodi logici ancora più stringenti devono infatti arrivare al pettine, se si pensa che questa Unione europea è composta di Stati che tutto hanno fatto fuorché starsene in pace. Dobbiamo ricordare, anche qui citati in ordine sparso, gli ultimi bombardamenti francesi in Libia o quelli - cui partecipò anche l’aeronautica italiana ai tempi del governo D’Alema del 1998, su Belgrado? Altro che “garanzia di pace”, Bruxelles non è stata mai in condizioni non solo di dotarsi di una politica militare o estera comune, ma tantomeno di impedire ai suoi stati membri di usare la forza bellica con esiti anche disastrosi sul fronte della popolazione civile.
Da ricordare, tra l’altro, che nell’esercito di uno Stato membro dell’Unione europea, ciòè la Spagna, vi sono militari che hanno invocato i carri armati contro la Catalunya nel caso dichiarasse l’indipendenza. Cosa che ha fatto anche nientemeno che un vicepresidente dello stesso Europarlamento, l’eurodeputato spagnolo  del Partito popolare Alejo Vidal Quadras. Anche lui insignito del “Nobel per la pace”, evidentemente.
Per fortuna voci critiche si sono alzati dalla stessa assemblea di Strasburgo. «Penso che sia un’assoluta  vergogna», ha tuonato l’europarlamentare britannico Nigel Farage, leader del partito Ukip, che da sempre è schierato contro lo strapotere delle oligarchie finanziarie che guidano la Ue senza alcuna legittimazione popolare. «Penso che (la decisione di  oggi, ndr) discrediti totalmente il premio Nobel».
Il precedente di Obama parla chiaro: non sia mai che il Nobel per la pace all’Europa dei banchieri sia stato assegnato come una minaccia di pace eterna all’Europa dei popoli.

venerdì 12 ottobre 2012

Goebbels è vivo e lotta insieme a Monti. Ma chissenefrega.

L'altro giorno stavo guardando il telegiornale con mia zia. "E chissenefrega"?, vi starete chiedendo, memori dell'omonima rimpiantissima rubrica dell'altrettanto rimpianto settimanale satirico "Cuore", inserto dell'Unità di più di vent'anni fa. Ed il problema è proprio questo: chissenefrega se una signora pensionata al minimo, più vicina agli ottant'anni che ai settanta, ascolta al tg il resoconto del consiglio dei ministri ed esclama: "Finalmente dimuniscono le tasse".
C'è voluto del bello e del buono a spiegarle che il calo di un punto delle due aliquote Irpef più basse non l'avrebbe riguardata, mentre l'avrebbe centrata in pieno l'aumento secco di un punto sull'Iva.
Ma chissenefrega. Chissà quante pensionate e pensionati, casalinghe di Voghera e casalinghi di Roccasecca ci saranno cascati di fronte all'ultimo teatrino dei golpisti al governo. Quanti di loro, di questi inermi cittadini in balia dell'istupidimento di massa, senza strumenti per comprendere gli infernali meccanismi della propaganda televisiva e senza qualcuno accanto che cerca di spiegarglieli, avranno creduto al miracolo: finalmente quei signori distinti si riuniscono e danno una buona notizia...
Perché, il giorno dopo, il teatrino è andato avanti. Già, perché qualcuno ha fatto notare che la riduzione dell'Irpef (tutta da dimostrare) andrebbe a vantaggio solo di chi l'Irpef la paga e per quanto la paga, mentre il punto in più di Iva lo pagano tutti, ma proprio tutti, anche andando a comperare non il caviale, ma l'insalata. A maggior ragione i pensionati al minimo. E allora subito, di rincalzo, la rassicurazione degli imbonitori di turno: "Ma le famiglie trarranno comunque un vantaggio dall'aumento con diminuzione, o dalla diminuzione con aumento, fate voi". Ah beh, si beh.
"Ma come è possibile che in televisione dicano una cosa non vera"?, si è chiesta ancora mia zia. Che ha sì un nipote giornalista disallineato e disorganico, fortemente eversivo ed alquanto eretico, ma non sempre ha la voglia di starlo a sentire.
Ringraziamo quindi ancora una volta Herr Joseph Goebbels, il ministro della propaganda del Terzo Reich, più vivo che mai nelle sue intuizioni, nonché inventore imbattuto ed imbattibile del postulato della comunicazione di tutti i regimi di tutte le ere di tutti i punti cardinali: "Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà  una verità". Ringraziamolo, perché ci fornisce la spiegazione di come, per chi gestisce il monopolio quasi assoluto dell'informazione, sia sempre possibile in questa italia, contrariamente ad un altro celebre postulato, imbrogliare così tante  persone per così lungo tempo.
Oggi Goebbels è sempre vivo, e lotta insieme a Mario Monti ed al suo governo. Sudditi di questo regime, continuate a dormire sonni tranquilli, siate sereni e fiduciosi che la ripresa arriverà: le tasse hanno già iniziato a scendere, rilassatevi. E se qualcuno ogni tanto fa una domanda scomoda abbiate sempre la risposta pronta: l'italia ora è rispettata in Europa e nel Mondo. Per tutti gli altri piccoli problemi? Chissenefrega.

lunedì 14 maggio 2012

Se la Grecia torna al voto, chissà se i tecnocrati tenteranno "un'aggiustatina" come in Irlanda...

(pubblicato su la Padania di domenica 13 maggio)

E tre, fuori un altro. Dopo che il leader di Nuova Democrazia Antonis Samaras e quello della sinistra radicale di Syriza Alexis Tsipras avevano rinunciato all’impresa impossibile di formare un nuovo Governo dopo le elezioni in Grecia del 6 maggio, anche Evangelos Venizelos, capo dei socialisti del Pasok, ha ieri mattina formalmente rinunciato all’incarico affidatogli dal presidente Karolos Papoulias. Toccherà ora allo stesso Papoulias compiere un ultimo tentativo per far uscire la Grecia dall’impasse politico prima di riaffidare la parola alle urne con nuove elezioni. Venizelos aveva annunciato il fallimento l’altroieri sera, dopo il rifiuto di Syriza, peraltro ampiamente preannunciato, di entrare a far parte di un Governo di unità nazionale con socialisti, conservatori e sinistra democratica. Il punto è sempre il solito. Il popolo greco ha sonoramente sconfitto nelle urne i diktat dei finanzieri della Ue e del Fmi, e la conseguente politica da macelleria sociale imposta tramite il "gauleiter" Papademos, con l’appoggio dei partiti tradizionali di Atene costretti a firmare un patto anche per il futuro, nei mesi precedenti il voto. Ma l’Ue non molla la presa. Il presidente Papoulias incontrerà inizialmente già oggi i tre leader dei principali partiti, che hanno già fallito, uno dopo l’altro, il mandato esplorativo. Successivamente il presidente greco vedrà individualmente i leader degli altri quattro partiti entrati in parlamento. D’altra parte, le soluzioni che si presentano all’orizzonte non sono per nulla scontate. Le pressioni da parte dei capi Ue e dei leader dei Paesi "forti" dell’euro perché ad Atene si insedi un Governo che continui l’opera di Papademos malgrado la maggioranza dei cittadini ellenici sia fermamente contraria, nei giorni scorsi si sono ripresentate insistenti, fino a sfociare di fatto in vere e proprie minacce. Comunque vada, appare ormai quasi scontato che il Paese ellenico sia avviato all’uscita dalla moneta unica. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, riportato da Giuseppe Vita, presidente di Unicredit, in conferenza stampa a Milano, «ha detto che se la Grecia dovesse decidere in maniera autonoma di uscire dall’euro, nessuno glielo può impedire». Pertanto, «credo che esistano dei piani B» per arginare il caos a catena che potrebbe derivare dall’uscita di Atene dalla moneta unica. L’ad Ghizzoni ha spiegato, rispondendo ad un’altra domanda, di non essere «così negativo in merito all’impatto sull’euro» di una possibile uscita unilaterale di Atene dalla moneta unica, «perché i mercati in maggioranza pensano che la Grecia uscirà. I mercati ne hanno già scontato l’effetto». Ormai, l’ottimismo di maniera dei rappresentanti dei poteri bancari non si rivolge più al fatto che la Grecia rimanga nell’euro ma al fatto che l’uscita della Grecia dall’euro non provocherà un caos come quello temuto. In realtà, anche negli stessi organi della Ue ci si inizia ad accorgere che le minacce e gli anatemi diretti rivolti alla Grecia rischiano davvero di non produrre affatto gli effetti sperati. E così, il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha ammorbidito decisamente i toni e si è detto ora favorevole alla possibilità di dare più tempo ad Atene per permetterle di rispettare gli impegni presi con Ue ed Fmi, scongiurando così anche il rischio di una sua uscita dall’euro. «Non mi aggrappo alla richiesta di farle rispettare gli obiettivi di politica di bilancio nel mese concordato - ha detto Juncker, parlando a Berlino - Non ho problemi, per esempio, a dare un anno di più alla Grecia». Tuttavia, ha ricordato ieri il premier lussemburghese alla vigilia della riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles che avrà la Grecia tra i temi principali all’ordine del giorno, «potremo parlare dell’agenda del risanamento dello Stato greco quando sarà stato formato un Governo, al momento non possiamo avviare negoziati separatamente con i partiti greci, non sarebbe possibile». Juncker ha poi chiarito di non ritenere giusto tenere troppo sotto pressione i greci. «Dobbiasmo lasciare che siano loro a decidere», ha sottolineato, avvertendo tuttavia Atene che non ci sono alternative al risanamento dei conti pubblici. Si fa strada quindi un’altra strana premonizione: che si torni presto alle urne e che, questa volta, da esse scaturisca "miracolosamente" una qualche formula favorevole ai diktat Ue. I precedenti non mancano. In Irlanda per ben due volte un referendum popolare bocciò i voleri dell’Unione europea. Nel 2001 l’Isola verde disse "No" al Trattato di Nizza, nel 2008 fece naufragare quello di Lisbona. In entrambi i casi, si impose la forzatura: un referendum analogo l’anno successivo che, in entrambi i casi portò "miracolosamente" i risultato sperato dagli eurocrati. Vogliamo scommettere che le eventuali nuove elezioni greche altrettanto "miracolosamente" possano portare ad un risultato che tranquillizzi i poteri forti? È una scommessa che, in nome di ciò che resta del concetto di "democrazia", ci auguriamo di cuore di perdere.

venerdì 6 aprile 2012

Salviamo la Grecia dai suoi salvatori: firmiamo anche noi

Un po' in ritardo (l'appello è del febbraio scorso) ma l'urgenza di aderire attivamente ad una visione opposta a quella dei banchieri e degli usurai al potere, che hanno già fatto della Grecia un "esperimento sociale" che ora è in pieno corso di applicazione in italia, è sempre alta. Io l'ho appena firmato. Facciamo circolare l'informazione, per cortesia.

Qui la traduzione in italiano.

Vicky Skoumbi, redattrice della rivista Aletheia, Dimitris Vergetis, direttore di Aletheia, Atene, Michel Surya, direttore della rivista Lignes, Parigi.
“Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.
L’obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su questo punto tutti gli economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme estreme di impoverimento e di precarizzazione.
Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i “rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi), diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40 anni.
Parallelamente, l’Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato dove verrà direttamente versato l’aiuto alla Grecia, perché venga impiegato unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere “in priorità assoluta” devolute al rimborso dei creditori e, se necessario, versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici.. In altri termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione istituzionale.
Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero festino per chi comprerà.
Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C’è da scommettere che questa coorte di piani di salvataggio – ogni volta presentati come ‘ultimi’- non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia, in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori, sotto il ricatto “austerità o catastrofe”.
L’aggravamento artificiale e coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un’arma per prendere d’assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro un’intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare al ‘nemico’ sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o non consumano abbastanza non dev’essere più preservata.
E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d’entrata mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello destinato all’Europa intera e anche oltre. E’ questa la vera questione in gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l’avvenire della democrazia e le sorti del popolo europeo.
Dappertutto la “necessità imperiosa” di un’austerità dolorosa ma salutare ci viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia, chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non meritano una presa di posizione? E’ possibile non alzare la voce contro l’assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio di fronte all’instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori legge l’idea stessa di solidarietà sociale?
Siamo a un punto di non ritorno. E’ urgente condurre la battaglia di cifre e la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della paura e della disinformazione. E’ urgente decostruire le lezioni di morale che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che urgente demistificare l’insistenza razzista sulla “specificità greca” che pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale. Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.
Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall’alternativa “o la distruzione della società o il fallimento” (che vuol dire, lo vediamo oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un’altra Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei “piani d’aiuto” concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio. Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni. Ogni iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?”
Vicky Skoumbi, redattrice della rivista Aletheia, Atene, Dimitris Vergetis, direttore di Aletheia, Michel Surya, direttore della rivista Lignes, Parigi.

Per firmare l'appello (l'orginale in lingua francese) seguite questo link.

http://www.editions-lignes.com/sauvons-le-peuple-grec-de-ses.html

lunedì 2 aprile 2012

Se Mario Monti smentisce Mario Monti. Sacrifici equi o sacrifici rozzi?

Mario Monti, in un impeto di autocritica evidentemente non del tutto sobria, smentisce Mario Monti. O forse il Prof è caduto vittima di uno sdoppiamento di personalità dovuto a troppo stress da jet lag tra Italia ed Asia. Può anche essere che al robottino Monti impersonato dal geniale Maurizio Crozza si sia fuso qualcuno dei proverbiali circuiti di mille valvole. Molto più probabilmente, il premier non sa più che pesci pigliare e, a seconda delle circostanze e degli interlocutori, emette le prime frasi di circostanza che gli vengono in mente pur di tentare di difendersi dal precipizio in cui ha iniziato a sprofondare in silenzio la sua popolarità.
Fatto è che appena lunedì scorso, con la testa letteralmente tra le nuvole in quanto sul volo di Stato che lo trasportava a Seul, l’ineffabile Prof, con i sobri toni di circostanza che gli sono consueti, cercava di convincere i giornalisti e i cittadini del Belpaese che gli esponenti del Governo avessero «cercato in questi mesi di essere equi nel distribuire i sacrifici». Malgrado i giornalisti si siano fatti convincere senza troppa difficoltà, la dichiarazione del premier, naturalmente, cozzava di netto  con la realtà di questi giorni. Non certo quella raccontata all’unisono dagli allineatissimi organi di informazione ma, molto più prosaicamente, una realtà stampata a chiare lettere e a scarsi numeri nelle buste paga di marzo. Per quelli, naturalmente, che una busta paga si possono permettere ancora ancora il lusso (o la monotonia, sempre per usare le parole di Monti) di potersela portare a casa.
Ieri, a sorpresa, le agenzie battevano invece il controordine, sempre proveniente da un Monti in viaggio ad Est, in particolare da Pechino. Alla parola “sacrifici” il presidente del Consiglio  affiancava infatti uno sbalorditivo aggettivo, ben diverso dal primo: non più “equi” bensì “rozzi”.
«Gli aumenti fiscali e tariffari - ha sottolineato il presidente del Consiglio in conferenza stampa -  sono strumenti un po’ rozzi, il risultato differito di decisioni prese in passato». Inutile dire che ne ha comunque difeso quella che ritiene essere la loro ineluttabilità: senza questi sacrifici, ha detto, l’Italia rischiava di finire come la  Grecia. A suo onore, dopo quella frase sul passato che sembrava tanto uno scaricabarile, ha però voluto precisare che per i sacrifici  «sono pronto ad assumermi le mie responsabilità, sono stati introdotti da questo Governo». Per il futuro, ha aggiunto, «dobbiamo dobbiamo trovare strumenti più sofisticati».
Nel frattempo, prima che i sacrifici da “rozzi” arrivino quindi ad essere “sofisticati”, la pace sociale è garantita dal fatto che, malgrado tutto, le piazze restano vuote. Come le nostre tasche.
“Occupy” e l’antagonismo da soli non bastano
Migliaia di manifestanti, soprattutto provenienti dalla sinistra oggi extraparlamentare, dai centri sociali e da alcune sigle dei sindacati di base, ieri hanno dato vita a Milano, sotto la sigla di “Occupy Piazza Affari” ad una manifestazione di rivolta contro «lo strapotere delle banche», si leggeva negli striscioni, e contro la piovra della finanza globale abilmente riprodotta in cartapesta e dai cui tentacoli pendeva la triade Monti-Fornero-Passera. La parte scesa in piazza, tuttavia, resta marginale rispetto alla stragrande maggioranza di un Paese che ancora viene tenuto artificialmente calmo dall’acquiescenza di stampa, tv e sindacati maggioritari. Tutti soggetti ben allineati e coperti con i poteri forti e con i loro rappresentanti fraudolentemente al Governo.
Ben diversa, ad esempio, la situazione in Spagna, dove giovedì scorso i sindacati più rappresentativi hanno dato vita ad uno sciopero generale contro le politiche del premier Mariano Rajoy. Una fermata dal lavoro su tutto il territorio del Regno di Madrid che una fonte come il Sole 24 Ore ha definito «con alto tasso di adesione».
Il punto, però, è sempre lo stesso: lì la sinistra istituzionale, quella che tiene tese e funzionanti le cinghie di trasmissione con i lavoratori ed i sindacati, si trova comoda e tranquilla all’opposizione. Non certo come in Italia, dove pur con mille mal di pancia ed una lacerante guerra interna, le forze che si dicono “di sinistra” rappresentate in Parlamento continuano ad appoggiare la macelleria sociale della triade Monti-Passera-Fornero.
Agli “Occupy”, quindi, viene lasciato volentieri l’incarico di manifestare per conto loro, ma in ordine sparso, e con la sottaciuta speranza che scontri, incidenti o semplicemente gesti un po’ troppo plateali come quelli di ieri contro le banche a Milano, inducano l’opinione pubblica a dissociarsi non soltanto dai metodi di lotta ma anche, di conseguenza, dalle sacrosante ragioni di chi dichiara di volerla combattere.
Un teatro già visto in tante epoche e in tante latitudini. Non saranno certo i mattoni malamente impilati dai manifestanti di fronte all’ingresso della Bnl o la vetrina annerita dell’Unicredit ad impedire che lo scempio sociale si compia. Il balbettio incoerente di chi è al Governo ed il silenzio compiaciuto di chi dovrebbe fare informazione sono ancora una volta al servizio dei potenti.

(pubblicato su la Padania di domenica 1° aprile)

venerdì 23 marzo 2012

La Sardegna vuole ridiscutere l'italia. Fortza paris!

Castéddu (Cagliari)  - La Sardegna vuole ridiscutere il “patto” con lo Stato italiano. È stata davvero rivoluzionaria la presa di posizione dell’altro giorno del Consiglio regionale sardo: non era mai accaduto che  una Regione mettesse ufficialmente in discussione, attraverso un atto votato a maggioranza nella propria assemblea elettiva, gli assetti politici ed istituzionali che la ingabbiano in uno Stato dal quale si sente sempre meno rappresentata.
«Per la prima volta nella  storia italiana una Regione sottoporrà a verifica le ragioni della  permanenza nello Stato, il fisco, il sistema dei diritti e dei doveri, gli obblighi di sussidiarietà e leale collaborazione tra istituzioni. In altre parole: le ragioni dello stare insieme». Così spiega la portata di quanto accaduto  Giacomo Sanna, capogruppo del Partito Sardo d’Azione in  Consiglio regionale della Sardegna e primo firmatario dell’ordine del  giorno approvato mercoledì a larga maggioranza (31 voti favorevoli e 25 contrari)   dall’assemblea. Il documento presentato dal Partito sardo d’azione è  stato sottoscritto anche da Sel, Udc, Fli, Idv, Api. Ha votato a  favore una parte del Pdl e contro tutto il Pd e i Riformatori.   L'ordine del giorno, unico nella storia dell’Autonomia speciale  della Sardegna e non solo, prevede che «il Consiglio regionale, preso atto delle  ripetute violazioni dei principi di sussidiarietà e di leale  collaborazione da parte del Governo e dello Stato italiano nei  confronti della Regione Sardegna, delibera di avviare una sessione  speciale di lavori, aperta ai rappresentanti della società sarda, per la verifica dei rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile  con lo Stato, che dovrebbero essere a fondamento della presenza e  della permanenza della regione Sardegna nella repubblica italiana».
«La verifica sarà fatta in modo pacifico e legale e senza  esiti precostituiti. Per la prima volta la Sardegna giudicherà  l'Italia, senza separatismi, senza eversione - si legge nel sito del  Partito sardo d’azione - ma solo ponendo sul piatto una questione  semplice: stare in uno Stato comporta la vigenza di un patto  equilibrato e giusto, quale oggi questo patto non è».
Durante la presentazione dell’odg, il consigliere del Psdaz Paolo Maninchedda ha pronunciato parole di fuoco circa l’attitudine italiana nei confronti della Sardegna e delle altre Regioni. «L’Italia - ha ricordato -  ha impugnato, con la Corte costituzionale, tutte le leggi di questo Consiglio regionale e imposto a tutte le Regioni un presidenzialismo becero, giacché ha bocciato tutti gli statuti e le leggi statutarie che non avevano queste caratteristiche».
«Questa è l’Italia e a questa Italia non ci si può presentare con la solita logica della rivendicazione - ha proseguito -,  occorre fare un passo avanti. Questo Consiglio ha respinto la mozione sull’indipendenza, noi ne prendiamo atto ma chiediamo una cosa: che voglia considerare oggi, con un ordine del giorno, l’apertura di una sessione speciale dei suoi lavori, aperta alla società, ai deputati e ai senatori, impegnata a verificare la convenienza del nostro permanere nella Repubblica italiana».
«La nostra proposta - ha concluso - è di sottoporre a verifica da subito la vigenza dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione, per accertare se essi siano rispettati da entrambe le parti; la nostra proposta è sottoporre l’unità d’Italia a verifica di giustizia e di vigenza».
Ieri la reazione della stampa “ufficiale” che ha rilanciato la notizia è stata allarmata: il Sole 24 Ore ha infatti pubblicato sul suo sito un articolo in cui si parla esplicitamente di «rischio secessione» che «soffia da Cagliari e non solo dalla sede della Lega Nord di Via Bellerio a Milano». D’altra parte, che i popoli si stiano risvegliando da Nord a Sud non è certo, almeno per chi legge il nostro giornale, una novità di oggi.
(pubblicato su la Padania di oggi, 23 marzo 2012)

giovedì 8 marzo 2012

Donne che odiano gli uomini. 50 mila maltrattati ogni anno, la violenza di cui non parla nessuno

Un'inquietante e sconcertante inchiesta riportata dall'agenzia Adnkronos: 50mila uomini maltrattati ogni anno dalle donne. Donne che odiano gli uomini. Una realtà spesso sconosciuta, quella dei maltrattamenti, psicologici, fisici e sessuali che ogni anno circa 50mila uomini italiani subiscono per mano di mogli o compagne, soprattutto in fase pre o post separazione e quando ci sono di mezzo i figli. A stimare all’Adnkronos le cifre del fenomeno è Vincenzo Spavone, presidente dell’Associazione Genitori separati dai figli (Gesef). Un dato che fa ancora più "effetto" in occasione della giornata della donna che si celebra oggi. Come risulta da un’indagine condotta dall’associazione, monitorando circa 27mila uomini-padri, separati o separandi che si sono rivolti allo sportello di ascolto Gesef, "il fenomeno della violenza sugli uomini è tutt'altro che marginale", anche se "gli episodi di lieve e media gravità - emerge dalla ricerca - non vengono percepiti dai soggetti come reato: pertanto non vengono mai denunciati, e solo raramente rivelati ad amici o familiari. Soprattutto perchè fra gli uomini prevale un sentimento di vergogna e umiliazione, nonchè il dubbio di non essere creduti". Per questo solo il 5% degli episodi di maggiore gravità viene denunciato alla autorità pubblica, in particolare nella fase di crisi della coppia o dopo la separazione. Denunce spesso ritirate per arginare la conflittualità della controparte o che finiscono nel calderone del giudizio di separazione. Fra gli episodi di maltrattamenti fisici riferiti dagli uomini, si va dagli spintoni e strattonamenti (subiti dal 93% degli uomini durante la convivenza e dal 34% dopo la separazione), a schiaffi, pugni e calci (subiti dal 56% durante la convivenza e dal 23% post separazione), fino al tentativo di soffocamento, ustione, avvelenamento, lesione ai genitali o investimento con l’auto (subiti dal 20% degli uomini) o alle ferite con corpo contundente, coltello o forbici che hanno richiesto l’intervento sanitario (15%).
Ma la violenza psicologica - secondo il presidente del Gesef - è la più "pesante" da sopportare per gli uomini. Una violenza che, durante la convivenza "viene percepita dalla maggior parte dei soggetti - emerge dallo studio - come lesiva della dignità personale e del ruolo familiare. Mentre dopo la separazione, la violenza subita è identificata principalmente come stato di perenne tensione vendicativa/distruttiva, ovvero uno strumento per corrodere la propria relazione con i figli". E anche "il 'mobbing giudiziario" diventa una strategia di "bombardamento per procura". In questi casi, gli uomini arrivano spesso a sviluppare stati di profonda angoscia, arrivando a non aprire più la cassetta della posta o a non rispondere al campanello nel timore di vedersi recapitare ulteriori ingiunzioni. Fra le violenze psicologiche, al primo posto figurano "le azioni o minacce di azioni finalizzate a togliere i figli" riferite da ben l'89% degli uomini-padri, dopo la separazione. La stessa percentuale denuncia diffamazioni, ingiurie, umiliazioni e offese; seguite (con l'87%) da critiche e denigrazione sistematica sulle capacità genitoriali e l’educazione dei figli. Ma non mancano episodi di stalking, sia durante la convivenza (23%) che dopo la separazione (42%), e minacce di suicidio o di far male ai figli.
E ancora: violenza sessuale, un fenomeno fra i più sconosciuti alle cronache, ma che riguarda "tutti quei processi o episodi che producono effetti devastanti sulla personalità e nell’ambito psico-fisico dell’uomo vittima, equiparabili e talora superiori a quelli dello stupro subito dalla donna", spiega la ricerca. Si va dal rifiuto sistematico e prolungato del rapporto sessuale da parte della donna, riferito dal 68% degli uomini, ai casi in cui le donne denunciano strumentalmente di aver subito molestia o violenza o denunciano abusi sessuali sui figli (con percentuali del 33%). Infine: la violenza economica. Durante la convivenza, in oltre 1/3 dei casi si verifica una resistenza della partner lavoratrice retribuita alla condivisione delle spese per la casa e il mantenimento dei figli, che incidono perlopiù sul reddito del soggetto vittima. Percentuale che dopo la separazione aumenta al 79%. Fra gli altri comportamenti: la sottrazione di fondi bancari cointestati (denunciata nel 60% dei casi durante la convivenza) o di beni e oggetti di comune proprietà (67%), fino al ricatto economico, ovvero la possibilità di frequentare i figli in cambio di una somma più consistente di denaro per il loro mantenimento.

martedì 28 febbraio 2012

Chi tocca i fili muore.

Per un'idea, giusta o sbagliata che sia, si può fare tutto. Ci si può vestire di rosso, di nero, di bianco, di verde o di arcobaleno. Oppure ci si può spogliare. Si può partire per il mondo o ci si può rinchiudere in una torre o in una cella. Si può parlare allo Speaker's corner o imbavagliarsi in tv. Si può scalare una montagna con corde e attrezzi lucenti oppure un campanile con un fucile arrugginito che non può sparare. Si può manifestare in pace o scendere sul piede di guerra. Si può uccidere o ci si  può far uccidere. Si può andare in montagna o sul Lago di Garda, comporre una poesia oppure un canto rivoluzionario, scrivere un romanzo oppure balbettare parole sulle pareti del cesso della stazione. Si può pregare oppure bestemmiare, mangiare a sproposito oppure digiunare, bere solo acqua di fonte oppure le proprie urine. Si può scegliere di gettarsi sotto il treno o saltare sulle stelle, si può vivere o morire. L'importante, per un'idea, giusta o sbagliata che sia, è che qualunque cosa scelga, un uomo sia sempre responsabile e cosciente di quello che fa. "Chi tocca i fili muore", c'è scritto sui tralicci e nella consapevolezza dei senzienti che sanno che il fuoco brucia così come sanno che l'acqua annega. Si può scegliere di salirci oppure no. Ma se si sale, si affronta il rischio e quello ti stronca, nessuno poi dica che la colpa è di qualcun altro. Ne uscirebbero a pezzi, inceneriti, sia l'uomo che la sua idea. Giusta o sbagliata che sia.

venerdì 24 febbraio 2012

La lettera aperta di Mikis Theodorakis: contro Ue, Bce e Fmi nuova Resistenza e Solidarietà nazionale

Questa è la lettera aperta scritta dal grande compositore greco Mikis Theodorakis il 12 febbraio scorso, il giorno prima delle grandi manifestazioni di piazza ad Atene e nelle principali città greche contro il varo del piano di austerità imposto dalla troika Uc/Bce/Fmi e fatto proprio dal premier Goldman-Papademos. Un coraggioso ed aperto atto di denuncia civile da parte di un intellettuale che, dopo aver sfidato il nazismo ed il regime dei colonnelli, non ha paura, a 86 anni, di rimettersi in gioco contro la terza dittatura della sua vita, quella dei banchieri e degli usurai che hanno direttamente preso il controllo delle istituzioni e della vita del popolo greco. Theodorakis, il giorno dopo, sarebbe rimasto coinvolto negli scontri ed intossicato dai gas lacrimogeni sparati dalle forze di polizia. Sia una lezione ai tanti servitori ed idolatri del nostro Goldman-Monti, anch'egli fedele servitore degli stessi poteri che stanno mandando in miseria il popolo greco, ed i popoli dello stato italiano.

"Esiste un complotto internazionale che ha l'obiettivo di cancellare il mio paese. E’ iniziato nel 1975 opponendosi alla civiltà neo-greca, è continuato con la distorsione sistematica della nostra storia contemporanea e della nostra identità culturale e adesso sta cercando di cancellarci anche materialmente con la mancanza di lavoro, la fame e la miseria.
Se il popolo greco non prende la situazione in mano per ostacolarlo, il pericolo della sparizione della Grecia è reale. Io lo colloco entro i prossimi 10 anni.


Di noi, resterà solo la memoria della nostra civiltà e delle nostre battaglie per la libertà.


Fino al 2009 il problema economico non era grave. Le grandi ferite della nostra economia erano la spesa esagerata per la difesa del paese e la corruzione di una parte dei politici e dei giornalisti. Per queste due ferite, però, erano corresponsabili anche dei paesi stranieri. Come la Germania, la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti che guadagnavano miliardi di euro da noi con la vendita annuale di materiale bellico. Questa emorragia continua ci metteva in ginocchio e non ci permetteva di crescere mentre offriva grandi ricchezze ai paesi stranieri. Lo stesso succedeva con il problema della corruzione. La società tedesca Siemens manteneva un dipartimento che si occupava della corruzione dei nostri politici, per poter piazzare meglio i suoi prodotti nel mercato greco. Di conseguenza, il popolo greco è stato vittima di questo duetto di ladri, Greci e Tedeschi, che si arricchivano sulle sue spalle.


È evidente che queste due ferite potevano essere evitate se i due partiti al potere (filo americani) non avessero raccolto tra le loro fila elementi corrotti, i quali, per coprire l’emorragia di ricchezze (prodotte dal lavoro del popolo greco) verso le casse di paesi stranieri, hanno sottoscritto prestiti esagerati, con il risultato che il debito pubblico è aumentato fino a 300 miliardi di euro, cioè il 130% del Pil.


Con questo sistema, le forze straniere di cui ho detto sopra, guadagnavano il doppio. Dalla vendita di armi e dei loro prodotti, prima; dai tassi d’interesse dei capitali prestati ai vari governi (e non al popolo), dopo. Perché come abbiamo visto, il popolo è la vittima principale in ambedue i casi. Un esempio solo vi convincerà. I tassi d’interesse di un prestito di 1 miliardo di dollari che contrasse Andreas Papandreou nel 1986 dalla Francia, sono diventati 54 miliardi di euro e sono stati finalmente saldati nel…2010!
Il Sig. Juncker ha dichiarato un anno fa, che aveva notato questa grande emorragia di denaro dalla Grecia a causa di spese enormi (ed obbligatorie) per l’acquisto di vari armamenti dalla Germania e dalla Francia. Aveva capito che i nostri venditori ci portavano direttamente ad una catastrofe sicura ma ha confessato pubblicamente che non ha reagito minimamente, per non colpire gli interessi dei suoi paesi amici!


Nel 2008 c’è stata la grande crisi economica in Europa. Era normale che ne risentisse anche l’economia greca. Il livello di vita, abbastanza alto (eravamo tra i 30 paesi più ricchi del mondo), rimase invariato. C’è stata, però, la crescita del debito pubblico. Ma il debito pubblico non porta obbligatoriamente alla crisi economica. I debiti dei grandi paesi come gli USA e la Germania, si contano in tris miliardi di euro. Il problema era la crescita economica e la produzione. Per questo motivo furono contratti prestiti dalle grandi banche con tasso fino al 5%. In questa esatta posizione ci trovavamo nel 2009, fino a quando in novembre è diventato primo ministro Georges Papandreou. Per farvi capire cosa ne pensa oggi il popolo greco della sua politica catastrofica, bastano questi due numeri: alle elezioni del 2009 il partito socialista ha preso il 44% dei voti. Oggi le proiezioni lo portano al 6%.

Papandreou avrebbe potuto affrontare la crisi economica (che rispecchiava quella europea) con prestiti dalle banche straniere con il tasso abituale, cioè sotto il 5%. Se avesse fatto questo, non ci sarebbe stato alcun problema per il nostro paese. Anzi, sarebbe successo l’incontrario perché eravamo in una fase di crescita economica.
Papandreou, però, aveva iniziato il suo complotto contro il proprio popolo dall’estate del 2009, quando si è incontrato segretamente con il Sig. Strauss Kahn per portare la Grecia sotto l’ombrello del FMI (Fondo Monetario Internazionale). La notizia di questo incontro è stata resa pubblica direttamente dal Presidente del FMI.


Per passare sotto il controllo del FMI, bisognava stravolgere la situazione economica reale del nostro paese e permettere l’innalzamento dei tassi d’interesse sui prestiti. Questa operazione meschina è iniziata con l’aumento “falso” del debito interno, dal 9,2% al 15%. Per questa operazione criminale, il Pm Peponis, ha chiesto 20 giorni fa, il rinvio a giudizio per Papandreou e Papakostantinou (Ministro dell’economia). Ha seguito la campagna sistematica in Europa di Papandreou e del Ministro dell’economia che è durata 5 mesi, per convincere gli europei che la Grecia è un Titanic pronto per andare a fondo, che i greci sono corrotti, pigri e di conseguenza incapaci di affrontare i problemi del paese. Dopo ogni loro dichiarazione, i tassi d’interesse salivano, al punto di non poter ottenere alcun prestito e di conseguenza il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea hanno preso la forma dei nostri salvatori, mentre nella realtà era l’inizio della nostra morte.


Nel Maggio del 2010 è stato firmato da un solo Ministro il famoso primo accordo di salvataggio. Il diritto greco, in questi casi, esige, per un accordo così importante, il voto favorevole di almeno tre quinti del parlamento. Quel primo accordo è dunque illegale. La troika che oggi governa in Grecia, agisce in modo completamente illegale. Non solo per il diritto greco ma anche per quello europeo.


Dal quel momento fino ad oggi, se i gradini che portano alla nostra morte sono venti, siamo già scesi più della metà. Immaginate che con questo secondo accordo, per la nostra “salvezza”, offriamo a questi signori la nostra integrità nazionale e i nostri beni pubblici. Cioè Porti, Aeroporti, Autostrade, Elettricità, Acqua, ricchezze minerali ecc. ecc. ecc. i nostri, inoltre, monumenti nazionali come l’Acropolis, Delfi, Olympia, Epidauro ecc. ecc. ecc.; perché con questi accordi abbiamo rinunciato ad eventuali rincorsi.


La produzione si è fermata, la disoccupazione è salita al 20%, hanno chiuso 80.000 negozi, migliaia di piccole fabbriche e centinaia di industrie. In totale hanno chiuso 432.000 imprese. Decine di migliaia di giovani laureati lasciano il paese che ogni giorno si immerge in un buio medioevale. Migliaia di cittadini ex benestanti, cercano nei cassonetti della spazzatura e dormono per strada. Intanto si dice che siamo vivi grazie alla generosità dei nostri “salvatori”, dell’Europa, delle banche e del Fondo Monetario Internazionale. In realtà, ogni pacchetto di decine di miliardi di aiuti destinato alla Grecia torna per intero indietro sotto forma di nuovi incredibili tassi d’interesse.


E siccome c’è bisogno di continuare a far funzionale lo stato, gli ospedali, le scuole ecc., la troika carica di extra tasse (assolutamente nuove) gli strati più deboli della società e li porta direttamente alla fame. Un'analoga situazione di fame generalizzata l’avemmo all’inizio dell’occupazione nazista nel 1941, con 300.000 morti in 6 mesi. Adesso rivediamo la stessa situazione. Se si pensa che l’occupazione nazista ci è costata 1 milione di morti e la distruzione totale del nostro paese, com’è possibile per noi greci accettare le minacce della sig.ra Merkel e l’intenzione dei tedeschi di installare un nuovo gaulaighter… e questa volta con la cravatta…


E per dimostrare quant’è ricca la Grecia e quanto lavoratori sono i greci, che sono coscienti del Obbligo di Libertà e dell’amore verso la propria patria, c'è l'esempio di come reagì all'occupazione nazista dal 1941 all’Ottobre del 1944. Quando gli SS e la fame uccidevano 1 milione di persone e la Vermacht distruggeva sistematicamente il paese, derubando la produzione agricola e l’oro dalle banche greche, i greci hanno fondato il movimento di solidarietà nazionale che ha sfamato la popolazione ed hanno creato un esercito di 100.000 partigiani che ha costretto i tedeschi ad essere presenti in modo continuo con 200.000 soldati. Contemporaneamente, i greci, grazie al proprio lavoro, sono riusciti non solo a sopravvivere ma a sviluppare, sotto condizioni di occupazione, l’arte neo greca soprattutto la letteratura e la musica.


La Grecia scelse la via del sacrificio per la libertà e la sopravvivenza. Anche allora ci colpirono senza ragione e noi rispondemmo con la Solidarietà e la Resistenza, e siamo riusciti a vincere. La stessa cosa che dobbiamo fare anche adesso con la certezza che il vincitore finale sarà il popolo greco. Questo messaggio mando alla Sig.ra Merkel ed al Sig. Schäuble, dichiarando che rimango sempre amico del Popolo Tedesco ed ammiratore del suo grande contributo alla Scienza, la Filosofia, l’Arte e soprattutto alla Musica! E forse, la miglior dimostrazione di questo è che tutto il mio lavoro musicale a livello mondiale, l’ho affidato a 2 grandi editori tedeschi “Schott” e “Breitkopf” con cui ho un’ottima collaborazione.


Minacciano di mandarci via dall’Europa. Ma se l’Europa non ci vuole 1 volta, noi, questa Europa di Merkel e Sarkozy, non la vogliamo 10 volte.


Oggi è domenica 12 Febbraio. Mi sto preparando per prendere parte con Manolis Glezos, l’eroe che ha tirato giù la svastica dall’Acropolis, dando così il segnale per l’inizio non solo della resistenza greca ma di quella europea contro Hitler. Le strade e le nostre piazze si riempiranno di centinaia di migliaia di cittadini che esprimeranno la propria rabbia contro il governo e la troika. Ho sentito ieri il nostro Primo ministro – banchiere, rivolgendosi al popolo greco, dire che “siamo arrivati all’ora zero”. Chi, però, ci ha portati all’ora ZERO in due anni? Le stesse persone che invece di trovarsi in prigione, ricattano i parlamentari per firmare il nuovo accordo, peggio del primo, che sarà applicato dalle stesse persone con gli stessi metodi che ci hanno portato all’ora ZERO! Perché? Perché questo ordina l’FMI e l’Eurogroup, ricattandoci che se non obbediremo ci sarà il fallimento…


Stiamo assistendo al teatro della paranoia. Tutti questi signori, che in sostanza ci odiano (greci e stranieri) e che sono gli unici responsabili della situazione drammatica alla quale hanno portato il paese, minacciano, ricattano, ordinano con l’unico scopo di continuare la loro opera distruttiva, cioè di portarci sotto l’ora ZERO, fino alla nostra sparizione definitiva.


Siamo sopravvissuti nei secoli, in condizioni molto difficili ed è certo che se ci porteranno con la forza, con la violenza, al penultimo gradino prima della nostra morte, i Greci, non solo sopravvivranno ma rinasceranno. In questo momento presto tutte le mie forze all’unione dinamica del popolo greco. Sto cercando di convincerlo che la Troika e l’FMI non sono una strada senso unico. Che esistono anche altre soluzioni. Guardare anche verso la Russia per una collaborazione economica, per lo sfruttamento delle nostre ricchezze minerarie, con condizioni diverse, a favore dei nostri interessi.


Per quanto riguarda l’Europa, propongo di interrompere l’acquisto di armamenti dalla Germania e dalla Francia. E dobbiamo fare tutto il possibile per prendere i nostri soldi, che la Germania ancora non ha saldato dal periodo della guerra. Tale somma ad oggi è quasi 500 miliardi di euro!!!


L’unica forza che può realizzare questi cambiamenti rivoluzionari è il popolo greco, unito in un enorme Fronte di Resistenza e Solidarietà, per mandare via la troika (FMI e Banche) dal paese. Nel frattempo devono essere considerati nulli tutti gli accordi illegali (prestiti, tassi d’interesse, tasse, svendita del paese ecc.). naturalmente, i loro collaboratori greci, che sono già condannati nella coscienza popolare come traditori, devono essere puniti.


Per l’Unione di tutto il Popolo stò dedicando tutte le mie energie e credo che alla fine ce la faremo. Ho fatto la guerra con le armi in mano contro l’occupazione nazista. Ho conosciuto i sotterranei della Gestapo. Sono stato condannato a morte dai Tedeschi e sono vivo per miracolo. Nel 1967 ho fondato il PAM, la prima organizzazione di resistenza contro i colonnelli. Ho agito nell’illegalità contro la dittatura. Sono stato arrestato ed imprigionato nel “mattatoio” della dittatura. Alla fine sono sopravvissuto e sono ancora qui.


Oggi ho 87 anni ed è molto probabile che non riuscirò a vedere la salvezza della mia amata patria. Ma morirò con la mia coscienza tranquilla, perché continuo a fare le mie battaglie per gli ideali della Libertà e del Diritto fino alla fine".

Mikis Theodorakis

giovedì 23 febbraio 2012

La farfallina Belen o l'avvoltoio Monti?

"Nel medesimo giornale
usuale,
nel giornale di tutti i giorni, ..
ho letto:
Ci sono trentotto milioni di profughi
nel mondo.
E sulla medesima facciata:
Eredita ventimila dollari un pappagallo".


(M. Quoist, "Nel medesimo giornale")

Dalla medesima televisione, usuale, dalla televisione di tutti giorni, ho sentito al tg5 : Belen vende per novemila euro il suo vestito inguinale ad una imprenditrice bergamasca". E su Rainews, poco dopo: Monti, parlando della macelleria sociale del collega spagnolo Rajoy: "Sono molto positivamente impressionato dalla sua riforma del sistema bancario e da quella del mercato del lavoro: provvedimenti cruciali che a nostro avviso vanno nella giusta direzione".

Belen e Monti, due facce della stessa, identica medaglia.


"Ecco il volto
ignobile e orrendo
della barbarie".

(M. Quoist, "Nel medesimo giornale")

sabato 18 febbraio 2012

Il gambero di Sanremo

Il sermone di Celentano e la farfallina di Belen, ovvero il teatro che fa di questa insopprimibile kermesse una fantastica arma di distrazione di massa per il popolo italiota. Bene. E poi, un po' di musica decente, finalmente: Patti Smith & Marlene Kunz. Detto fra di noi, l'unica cosa di musicale per cui valeva scomodarsi di prestare un po' di attenzione al Sanremo di quest'anno, anche se non hanno presentato certo nulla di nuovo. Tutt'altro. In ogni caso, Impressioni di Settembre e Because the Night stanno a Sanremo come un Moet & Chandon sta in una mensa ferroviaria, con tutto il rispetto dovuto ai ferrovieri.
Ma la novità dell'anno scorso, l'unica novità per cui il polveroso ancorché scintillante appuntamento si è potuto finalmente presentare come moderno? Quale? Chi aveva guadagnato il quarto posto, a sorpresa, con una spumeggiante canzone in una lingua regionale che si ascolta volentieri ancora oggi, a un anno di distanza? Ma Davide Van De Sfroos, naturalmente. Quest'anno, nisba. Si è tornati indietro all'italiano puro e stantio, quasi come se il lavoro di anni per svecchiare il festival ridandogli un po' di vita con le musiche e le lingue dei territori fosse passato invano. Qualche cosa in napoletano di repertorio, e questo non fa certo notizia. Tutto il resto è silenzio e banalità muffe, ad usum delphini. Il Gambero di Sanremo dice di guardare avanti, ma in realtà si è rituffato, quest'anno, nel mare delle ovvietà da cui era sembrato voler fuggire. Contento lui.

venerdì 17 febbraio 2012

Ci mancava pure l'accordo della Ue con il Marocco: viva la crescita. Della miseria.

Certe cose arrivano sempre puntuali: in un momento in cui la crisi del sistema europeo ed occidentale ha iniziato la sua marcia a tappe forzate verso il baratro, ci voleva qualcosa che ne accelerasse ancora di più la corsa. E che cosa ti va ad inventare il mefistofelico accrocchio di poteri finanziari ed usurari chiamato Unione europea? Un bell'accordo con il Marocco per la liberalizzazione del commercio di prodotti agricoli e della pesca. Proprio quello che ci voleva per risollevare le sorti dei settori produttivi, in primis il settore primario d'Europa, in particolare quello dell'area del Mediterraneo. Le cronache danno per "sofferta" la votazione all'Europarlamento: 369 i sì (tra cui, peraltro, quello del professor Romano Prodi, che le classi lavoratrici l'abbiano perennemente in gloria), 229 i no e 31 astenuti. Paradossalmente, il relatore francese che ne ha proposto la bocciatura era quel José Bové già leader della rivolta "no global" dei produttori francesi di formaggio. Bocciatura bocciata, l'accordo è passato. E Bové ha ritirato il suo nome, denunciando "gli effetti negativi sui piccoli agricoltori europei, per le condizioni precarie di lavoro e ambientali in Marocco e per l'inclusione del territorio del Sahara Occidentale, punto che violerebbe il diritto internazionale".
Già, il Sahara occidentale, il popolo Saharawi e il Fronte Polisario, per tenere fuori il quale dai suoi territori il Marocco ha costruito il muro più lungo della storia: una barriera fisica lunga 2720 chilometri, una vergogna della quale in Occidente non si parla. Ma tant'è: ora la "vulgata" vuole che la "primavera araba" porti la democrazia nel Maghreb, e allora chissenefrega dei Saharawi e degli agricoltori e dei pescatori d'Europa. Si arrangino, per vivere mangino la carta sul quale c'è scritto l'accordo con il Marocco, e si dedichino ad altro. Insomma, non siano troppo monotoni. Oppure imparino a lavorare per hobby o per la gloria, siano competitivi e anziché usare il gasolio ormai diventato caro come l'oro, per il loro lavoro tirino a piedi gli aratri e a pescare ci vadano a nuoto.

Quindi, in conclusione: il settore secondario, la produzione industriale, è ormai delocalizzata. Il primario, cioè l'agricoltura e la pesca, anche. Non bastavano le Pac, le quote e le contingentazioni della produzione. Ora importiamo anche, prodotti a prezzi ancor più bassi della miseria che viene riconosciuta agli agricoltori per quello che producono qui. Complimenti vivissimi, il piano è davvero formidabile.

Tra i primi a lanciare il grido di dolore e di battaglia, i "Forconi" siciliani: "Questa è la firma ad una sentenza di morte per l’economia della Sicilia. Il 6 marzo porteremo la Sicilia e i siciliani a protestare a Palermo davanti al palazzi del potere per dare una spallata a questo governo che non riesce a difendere il suo popolo. Giorno 11 marzo saremo a Chianciano e da lì partirà anche l’offensiva nazionale", ha affermato il leader dei "Forconi" Mariano Ferro. "Siamo alla disperazione - ha aggiunto - ma non ci vogliamo suicidare. C'è poco da fare, vogliamo combattere questi governi che vogliono farci pagare il conto nella totale disattenzione dei partiti politici nazionali". "Quello votato oggi e' un accordo che continua a penalizzare l'agricoltura mediterranea, l'ortofrutta in primis e che ancora una volta risulta sbilanciato verso gli interessi delle produzioni continentali e di altri settori economici ed avra' l'effetto di aumentare le importazioni verso il nostro paese, tra l'altro negli stessi periodi di massima produzione delle nostre produzioni ortofrutticole meridionali. E' difficile pensare allo sviluppo del nostro sud se l'Europa continua a muoversi su queste direttrici", ha detto da parte sua il presidente di Fedagri-Confcooperative Maurizio Gardini, anche a nome di Legacoop Agroalimentare e Agci Agrital. "L'accordo di libero scambio tra Ue e Marocco metterà a rischio migliaia di imprese e posti di lavoro. Un danno enorme per tantissimi agricoltori che sono già stati colpiti duramente dalla grave crisi economica. Per il nostro sistema agricolo ed agroalimentare l'impatto sarà catastrofico'', si legge in un comunicato della Confederazione italiana agricoltori. ''L'accordo - rileva la Cia - risulta molto piu' favorevole al Marocco e a rimetterci saranno esclusivamente gli agricoltori europei. Soprattutto l'Italia verrebbe invasa da prodotti ortofrutticoli (pomodori, zucchine, cetrioli, aglio, agrumi e fragole) a prezzi estremamente competitivi, visto che i costi di produzione e della manodopera nel paese magrebino sono molto piu' bassi dei nostri''. Stessi toni nei commenti della Coldiretti: "Un accordo squilibrato che colpisce duramente l'agricoltura italiana In un contesto già particolarmente difficile dal punto di vista economico e sociale". L'assessore all'agricoltura della Regione Piemonte, Claudio Sacchetto, non è stato meno pesante: "Un vero e proprio colpo basso al comparto ortofrutticolo italiano il quale dovrà fare i conti con una concorrenza spietata causata dalla possibile invasione sul mercato di prodotti ortofrutticoli provenienti dal Marocco. Una decisione, quella del Parlamento Europeo, che può dirsi avventata e contro il bene degli agricoltori. Credo che non si debba confondere lo spirito del libero mercato con una completa deregolamentazione delle regole sul libero scambio fra Paesi e realtà profondamente diversi in materia di rapporti interprofessionali e quindi di costi di produzione. Vorrei una volta per tutte sapere perchè l’Unione Europea applica il liberismo ortodosso soltanto in agricoltura e decisamente meno in altri settori. Al contrario ritengo sarebbe necessario implementare o introdurre le soglie di dazi onde evitare di soccombere sull’altare del libero scambio che in realtà viene applicato solo dall’Europa, in quanto anche altri grandi Paesi come gli Stati Uniti ed il Giappone applicano forme di parziale protezione delle loro produzioni. Il libero mercato o è uguale per tutti o non è”.
C'è anche una terza possibilità: che per i "soliti noti" sia molto, ma molto "più uguale" che per gli altri.

giovedì 16 febbraio 2012

Celentano, il guastatore apripista per il golpe in Rai

"La bomba Celentano è esplosa anche a palazzo Chigi. Convincendo definitivamente Monti che "la Rai è ormai un'azienda nel caos", su cui intervenire con la massima urgenza". Si apre così l'articolo pubblicato da poche ore sul sito di Repubblica (http://video.repubblica.it/dossier/sanremo-2012/maltese-celentano-e-la-pochezza-dei-vertici-rai/88273/86666 ) a firma Francesco Bei, che fornisce una chiave di lettura più che illuminante circa l'ormai famosa ultima esibizione in Rai della faccia buonista del qualunquismo che va sotto il nome di Adriano Celentano.
Si sono scandalizzati tutti, ma proprio tutti. Uno scandalo "trasversale" per il suo quasi-soliloquio sanremese che ha finto di colpire alcuni intoccabili, a partire dai media cattolici per finire con il Corrierone, con retorica che con un francesismo si definirebbe paracula. Colpiti alcuni intoccabili ma uno no di certo: il professor Papademos-Goldman-Monti, anche quando sarebbe potuto essere tranquillamente chiamato in causa, a proposito del completo furto di sovranità messo in atto dal suo governo. Invece, a proposito di fine della sovranità popolare, sotto gli strali del predicatore è finita soltanto la Corte costituzionale per la vicenda dei referendum. Contro i banchieri, niente. Contro la Ue che manda i suoi legati a comandare direttamente a casa degli ex Stati sovrani, nada de nada. Solo un accenno sterilizzato e fugace, alla fine, al caso greco. Che tanto ci aveva pensato Napolitano - con parole davvero quantomeno inopportune nella bocca di un capo di Stato - a dire che "noi non siamo come la Grecia".
E così, nel mezzo di un vero e proprio sermone metafisico, il "nostro" ha potuto - compiendo tra l'altro un atto decisamente fascio-comunista come invocare la chiusura ex imperio di alcuni giornali - far scoppiare la bomba carta, tanto utile alla "normalizzazione" ora avviata, con i famosi attacchi ad Avvenire, Famiglia Cristiana ed al critico televisivo del Corriere della Sera, Aldo Grasso. Il bel risultato di questa kermesse si è reso evidente proprio ora, con la rinnovata promessa di Papademos-Goldman-Monti di "mettere mano" alla Rai. Come? E' sempre l'articolo di Repubblica a spiegarcelo con dovizia di particolari. Forse troppa: "Qualcosa per allentare la morsa dei partiti, Monti intende comunque farla. L'idea è quella di ridurre intanto da 9 a 5 i membri del Consiglio d'amministrazione. Una modifica semplice, ma che avrebbe effetti importanti, dando al governo una forte leva per prendere in mano il timone dell'azienda". Tutto chiaro, ora? Il governo vuole sottrarre "ai partiti" (in realtà al Parlamento, quindi ai rappresentanti dei cittadini) il controllo della radiotv di Stato per prenderlo sotto le sue ali. In pratica, un golpe "morbido" la cui portata, ovviamente, sfugge ai più.
Ieri la tecnica del colpo di stato consisteva nel far scoppiare bombe e paura e poi prendere possesso del potere, attraverso il controllo diretto anche di radio e tv. Oggi la farsa tragica in corso nell'italietta consiste nel far scoppiare bombe in tv per poi occuparla dopo lo scandalo e "il caos", e controllarla direttamente senza più problemi. Mettendo a capo chi? Bella e sfiziosa domanda, alla quale è sempre la filogovernativissima Repubblica a dare una risposta ancora prima che qualcuno la ponga: "Una modifica semplice, ma che avrebbe effetti importanti, dando al governo una forte leva per prendere in mano il timone dell'azienda. Monti infatti potrebbe disporre del voto del suo uomo in Consiglio (il rappresentante del Tesoro), del presidente e del direttore generale. Ai partiti resterebbero solo tre consiglieri: uno per il Pdl-Lega, uno per il centrosinistra e uno per il Terzo polo". "Una semplificazione drastica - continua Repubblica -  che priverebbe la politica di maggioranze certe nel Cda. Al posto di Lorenza Lei (...) Monti starebbe pensando a due candidati manager: Franco Bernabè, presidente di Telecom, conosciuto dal premier anche per la comune partecipazione agli incontri del gruppo Bilderberg; e Claudio Cappon, grande conoscitore dell'azienda per averla già guidata due volte da direttore generale". Bernabè-Bilderberg. Il gioco è talmente chiaro che nessuno pensa nemmeno di nasconderlo. Quanto a Cappon, basti ricordare che, oltre ad aver lavorato per vent'anni all'Iri, è stato anche amministratore delegato di Fintecna (controllata oggi al 100 per cento dal ministero dell'Economia) nonché consigliere d'amministrazione di Autostrade e Aeroporti di Roma. Utile pure rammentare che Cappon ha gestito i processi di privatizzazione di primarie società come Italimpianti, Condotte d'Acqua ed Italstrade. Davvero tutto chiaro, per chi vuole vedere.
Ciliegina sulla torta, l'editoriale messo online questa mattina nientemeno che da Ernesto Galli Della Loggia sul sito del Corriere della Sera ( http://www.corriere.it/opinioni/12_febbraio_16/galli-della-loggia-ora-restituitec-rai_7268bc12-587f-11e1-9269-1668ca0418d4.shtml ). La conclusione dà i brividi: "Presidente Monti, dia ascolto al Paese: è giunta l'ora di intervenire." Vogliamo scommettere che le pecore italiote applaudiranno anche questa fase del golpe in atto senza nemmeno un "bè" di dubbio?

martedì 14 febbraio 2012

Una notizia quasi da non credere

Dopo quasi tre mesi dal suo insediamento, finalmente Papademos-Goldman-Monti ne azzecca una giusta. Ha detto che non firmerà le garanzie per la candidatura di Roma come città olimpica 2020. Non è il caso di spendere i soldi dei contribuenti in cose del genere in un momento come questo, ha detto in sintesi. Da non crederci: l'idrovora romana non potrà succhiare altro sangue oltre quello di cui già si nutre. In rete e altrove, scene di giubilo e acclamazione del professore. Sembra che a piangere sia rimasto soltanto il sindaco Alemanno. Tuttavia andiamoci cauti: per essere capaci di compiere una scelta come questa non è necessario essere presidente della Bocconi o advisor della banca Goldman-Sachs. Il fruttivendolo che passa tutti i giorni sotto casa mia avrebbe fatto esattamente lo stesso.

Sogni di primavera?

Ho fatto un sogno. Anzi, tanti. Ho sognato che quella che i grandi comunicatori ufficiali chiamano "primavera araba" lo fosse veramente. Che non si trattasse di un sistema di destabilizzazione eterodiretto ma, al contrario, un risveglio corale e spontaneo di persone che scendessero in strada "per la democrazia". Che, come risultato, vi fosse una trasformazione vera della mentalità di quei popoli e di quei paesi. Non più schiavi di religioni medioevali e di regimi dispotici ed affamatori ma ormai moderni e sviluppati cittadini di Stati avanzati e dotati di un sistema di rappresentanza ad immagine e somiglianza di quello elvetico. Ho sognato che questa primavera si fosse poi estesa anche all'Europa. Iniziando dalla Grecia. Ho sognato che il popolo greco sceso in strada contro gli usurai e gli affamatori avesse portato a termine davvero la prima delle grandi rivoluzioni d'Europa, al suono del Sirtaki di Mikis Theodorakis. Una rivoluzione in grado di spazzare via i regimi assoggettati alle regole del capitalismo finanziario ed ai rappresentanti delle grandi banche, trascinando via all'inferno le monete false come le loro promesse, e la cartaccia straccia che ci hanno venduto per oro al peso della nostra anima. Una rivoluzione capace di restituire alle persone ed ai popoli la loro dignità, tanto calpestata per troppi secoli ormai, ed in grado di innescare l'invenzione di un modello alternativo di sviluppo e di vita... anzi, un modello di sviluppo tout court, dal momento che di sviluppo non se ne parlava più da un bel pezzo. Ho sognato che finalmente non fosse più proibito essere se stessi, né come individui né come comunità naturali, che si potesse parlare a scuola, negli uffici pubblici ed alla tv la propria lingua naturale, che il lavoro fosse compatibile con i territori e le predisposizioni e le abilità di chi li vive. E che le bandiere false, bugiarde ed insanguinate si slegassero dai pennoni e volassero via disperse nel vento, per lasciare spazio ai mille colori delle bandiere di libertà, vecchie ed al tempo stesso più nuove che mai. E che l'inchiostro dei libri di storia scritta dai vincitori di ogni luogo e di ogni era si sbiadisse al sole, e che su quelli nuovi vi fosse scritto che non tutti gli sconfitti in tutte le battaglie avevano tutti i torti per il semplice fatto di essere stati sconfitti. Certo, ho sognato. Nient'altro che sognato. In Egitto gli islamici hanno poco fa annunciato che San Valentino è l'eresia delle eresie, contraria alla sharia ed un vizio occidentale. In Tunisia è arrivato Wajdi Ghenim, il predicatore che tiene conferenze per spiegare che l'infibulazione è un dovere per i musulmani. In Grecia già si annuncia una nuova macelleria dal momento che l'ultima di due giorni fa agli avvoltoi di Bruxelles ancora non basta. Vogliono altro sangue. E in italia il gregge continua a belare di soddisfazione ad ogni starnuto, minaccioso ma sobrio, di Papademos Goldman-Monti. Come se non bastasse, stasera inizia il festival di Sanremo. "La primavera, intanto, tarda ad arrivare".

lunedì 13 febbraio 2012

Nel 1994, Vinicio Capossela dava alle stampe un capolavoro discografico intrigante già a partire dal nome: "Camera a Sud". Atmosfere latine, visioni più o meno solari, ritmo ed allegria dolceamara. Questa, rubandogli l'idea, sarà invece una "Camera a Nord", L'atmosfera sarà decisamente più intima ma non necessariamente ripiegata. Potrà anche essere incandescente. Le visioni saranno un po' meno brillanti e colorate ma non per questo meno nitide. E se ci sarà da divertirsi, ben venga. Ma se sarà il caso di soffermarsi sulle cose che non vanno, le parole adeguate non mancheranno. Il Nord è un punto cardinale fondamentale sotto molti punti di vista. E' quello che segnano tutte le bussole ma, chissà perché, è sempre quello meno apprezzato. Qui, al contrario, lo sarà. E molto. Senza nulla togliere agli altri tre, naturalmente, quando verrà voglia di avere visioni a trecentosessanta gradi. Buona lettura a chi avrà voglia di seguirmi da oggi in poi.

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it