Sono la puntina da disegno proletaria che punge
i vostri bei piedini borghesi nudi, odorosi e ripittati.
Sono il chiodo arrugginito e storto che buca
il vostro buon pensiero lucido e retto.
Sono la bestia grama che sbava, caga e puzza
e sbrana le pelli biancolatte dei vostri salotti bene
dai quali vi divertite come sempre a decretare
a dito alzato che cosa è male e cosa conviene.
Ma io sono l'anello che non tiene nelle vostre catene,
il calcolo dei dadi che non torna
mentre la bussola va impazzita all'avventura.
Sono l'ospite indesiderato che porta la bomba
al ballo mascherato della vostra celebrità,
Sono un brufolo sulla vostra pelle:
voi mi schiacciate e viene fuori il pus.
Sono il buchetto nero nelle galassie intricate
dei vostri neuroni illuminati e sovrani.
Ed io sono Gaetano Bresci, un gaglioffo tra gli umani,
anche se solo un minchione a sentir Giuseppe Turani.
Non so che cosa fare delle vostre regole corrette,
delle vostre fregole politiche, delle tegole
che vorreste infrangere sulla mia testa dura piemontese.
Sono nato per sbaglio in questo vostro lercio Paese
fatto da porci, ruffiani, santi e deretani
sempre in vendita al miglior offerente:
il mio lo tengo stretto: è tutto ciò che mi rimane.
Eppure sono sempre la cifra che sballa in rosso
il vostro sudato e gonfio conto corrente,
il numero dispari che rompe l'ordine
del vostro pareggio di bilancio.
Sono la sentinella in piedi contro i vostri sputi
per carità buoni e giusti, che la violenza si condanna
soltanto quando la si subisce.
E s'io fossi foco, statene certi, arderei con gioia questo vostro marcio mondo.
Ma la legge del più forte ammette una sola eccezione:
quando il più debole è più furbo, e il più forte un gran cazzone.
Quindi marciate pure scalzi, in ordine e disciplina, che qui non c'è ragione
di temere per le vostre poltrone:
il più forte è sempre più furbo, e il più debole il più coglione.
Pensieri scomodi intorno ad un'epoca ancora più scomoda. Un blog di Gioann March Pòlli.
domenica 13 settembre 2015
mercoledì 24 giugno 2015
Retrospettiva, 16 aprile 2015: Quei 700 li avete uccisi voi
E adesso risparmiateci i vostri laidi piagnistei: anche gli ultimi 700 LI AVETE UCCISI VOI.
Voi con il vostro modello infernale della democrazia da esportare, dei popoli da spostare, dei vostri interessi comunque da salvare.
Voi con il vostro "avanti c'è posto", imposto con la forza di un'umanità pelosa e calorosa, pietosa solo nei confronti dei vostri portafogli gonfi e fetenti.
Voi con le vostre cooperative che consumano carne umana come carbone una vaporiera, e ce n'è sempre bisogno, se no vi fermate nel vostro macinar affari.
Voi dello Stato che ha la Mafia per Capitale, e voi che per il Capitale vendereste il sapone e la corda per un cappio in cui la testa vostra non la infilate mai.
Soltanto la nostra, e la loro.
Voi li avete uccisi, voi che "accogliamoli tutti" e quindi partite, partite che vi veniamo a prendere, basta uno squillo con il satellitare, perché gli unici confini che occorrono sono quelli del vostro conto corrente.
Per tutti gli altri, soltanto lavoro da sfruttare. E diritti non da dare, ma da cancellare.
Ma so già che piangerete da far schifo, che agiterete il dito perché siam noi eretici che non abbiamo, come sempre, capito.
Coccodrilli d'inferno, siate maledetti. Che le vostre anime, prima o poi, incontrino quelle di chi avete illuso, chiamato, spostato, sfruttato ed affondato.
Voi li avete uccisi.
E non rompete più i coglioni. Né a noi eretici né, soprattutto, a loro.
(pubblicato su Facebook)
ascolto musicale consigliato:
https://www.youtube.com/watch?v=jMxTIRxQJrM
Voi con il vostro modello infernale della democrazia da esportare, dei popoli da spostare, dei vostri interessi comunque da salvare.
Voi con il vostro "avanti c'è posto", imposto con la forza di un'umanità pelosa e calorosa, pietosa solo nei confronti dei vostri portafogli gonfi e fetenti.
Voi con le vostre cooperative che consumano carne umana come carbone una vaporiera, e ce n'è sempre bisogno, se no vi fermate nel vostro macinar affari.
Voi dello Stato che ha la Mafia per Capitale, e voi che per il Capitale vendereste il sapone e la corda per un cappio in cui la testa vostra non la infilate mai.
Soltanto la nostra, e la loro.
Voi li avete uccisi, voi che "accogliamoli tutti" e quindi partite, partite che vi veniamo a prendere, basta uno squillo con il satellitare, perché gli unici confini che occorrono sono quelli del vostro conto corrente.
Per tutti gli altri, soltanto lavoro da sfruttare. E diritti non da dare, ma da cancellare.
Ma so già che piangerete da far schifo, che agiterete il dito perché siam noi eretici che non abbiamo, come sempre, capito.
Coccodrilli d'inferno, siate maledetti. Che le vostre anime, prima o poi, incontrino quelle di chi avete illuso, chiamato, spostato, sfruttato ed affondato.
Voi li avete uccisi.
E non rompete più i coglioni. Né a noi eretici né, soprattutto, a loro.
(pubblicato su Facebook)
ascolto musicale consigliato:
https://www.youtube.com/watch?v=jMxTIRxQJrM
giovedì 11 giugno 2015
Addio a Mister Happy Sound: ci ha lasciato anche James Last, il re della "Musica Leggera"
Quando parte per il Grande Concerto nel Cielo un grande musicista che ci ha accompagnato da sempre, la tristezza e il vuoto che ci lascia è forte. Soprattutto quando si tratta di un vero signore, un gentleman e un geniale arrangiatore. James Last, tedesco di Brema, se n'è andato all'età di 86 anni, pochi mesi dopo il commiato dalle scene avvenuto con due memorabili concerti da tutto esaurito della sua orchestra alla Royal Albert Hall di Londra.
Settant'anni di attività (iniziata come jazzista durante la Seconda guerra mondiale), cento milioni di dischi venduti in tutto il mondo a partire dagli Anni '60 e un genere (la cosiddetta "musica leggera", o "easy listening") praticamente inventata da lui insieme ad altri maestri come Paul Mauriat o Frank Pourcel. Con i suoi brani classici o hit (da "La Cucaracha" ai Beatles e al Rock and Roll), rivisitati per orchestra tra fiati percussioni ed archi, mai considerata purtroppo dalla critica "seria", la sua proposta musicale è stata quanto di più spensierato e allegro potesse giungere delle case di tantissima gente anche non avvezza agli ascolti musicali impegnati. Celebri le sue rivisitazioni del grande repertorio di musica classica, tra cui quel brano, "Romance 1974", la Romanza in Fa maggiore di Beethoven, che nel territorio italiano gli diede tantissima notorietà soprattutto per essere la colonna sonora del Carosello del brandy Vecchia Romagna.
E in molti, forse, ignoravano e ignorano che la sigla del programma più rivoluzionario ed ancora oggi rimpianto della radiofonia italiana, Alto Gradimento, era opera sua: la rivisitazione del "manifesto" del Rock And Roll, "Rock Around the Clock".
Tuttavia il suo genere riscuoteva e riscuote particolare successo tra i popoli del Centro-Nord Europa. Germania in primis. Camera a Nord, di conseguenza, non può che ricordarlo con piacere, tristezza e molta nostalgia.
E invita chi volesse conoscerlo ad un ascolto musicale tranquillo e rilassante.
ascolto musicale consigliato
https://www.youtube.com/watch?v=r_tLTWm4c2w
Settant'anni di attività (iniziata come jazzista durante la Seconda guerra mondiale), cento milioni di dischi venduti in tutto il mondo a partire dagli Anni '60 e un genere (la cosiddetta "musica leggera", o "easy listening") praticamente inventata da lui insieme ad altri maestri come Paul Mauriat o Frank Pourcel. Con i suoi brani classici o hit (da "La Cucaracha" ai Beatles e al Rock and Roll), rivisitati per orchestra tra fiati percussioni ed archi, mai considerata purtroppo dalla critica "seria", la sua proposta musicale è stata quanto di più spensierato e allegro potesse giungere delle case di tantissima gente anche non avvezza agli ascolti musicali impegnati. Celebri le sue rivisitazioni del grande repertorio di musica classica, tra cui quel brano, "Romance 1974", la Romanza in Fa maggiore di Beethoven, che nel territorio italiano gli diede tantissima notorietà soprattutto per essere la colonna sonora del Carosello del brandy Vecchia Romagna.
E in molti, forse, ignoravano e ignorano che la sigla del programma più rivoluzionario ed ancora oggi rimpianto della radiofonia italiana, Alto Gradimento, era opera sua: la rivisitazione del "manifesto" del Rock And Roll, "Rock Around the Clock".
Tuttavia il suo genere riscuoteva e riscuote particolare successo tra i popoli del Centro-Nord Europa. Germania in primis. Camera a Nord, di conseguenza, non può che ricordarlo con piacere, tristezza e molta nostalgia.
E invita chi volesse conoscerlo ad un ascolto musicale tranquillo e rilassante.
ascolto musicale consigliato
https://www.youtube.com/watch?v=r_tLTWm4c2w
mercoledì 10 giugno 2015
Mondiali di calcio per i popoli non riconosciuti: Padania - Rom, la prima partita è un incontro sublime
Premessa. Qui, nella Camera a Nord, l'unico televisore in grado di funzionare ha 53 anni di vita. E' un Cge da 19 pollici del 1962. Tutto a valvole e naturalmente in glorioso bianco e nero. Filtrati dalla sua storica nebbia catodica, i talk show contemporanei acquistano tutto un altro sapore. Sembrano distanti ere geologiche, provenienti quasi da un'altra galassia, inscatolati tra parentesi cosmiche e comiche, incorniciati tra parecchi strati di metaforiche virgolette.
Un curioso e buffo spettacolo che mi sentirei di consigliare a tutti, se mai avessero la possibilità di vedere la realtà televisiva odierna attraverso occhi e apparecchi d'antan.
Al dunque. Coccolati piacevolmente da una visione televisiva filtrata con queste modalità e depurata da ogni drammatica arroganza, è bello quindi prendere atto dai giornali italiani che sta per iniziare l'edizione 2015 dei mondiali di calcio per le nazionali dei popoli non riconosciuti, organizzata dalla federazione ConIFA. Il mondiale si svolge in Ungheria, a Debrecen, seconda città più importante dopo Budapest, poco distante dal confine con la Romania nonché sede di un club calcistico che milita nella massima serie del campionato magiaro.
Un po' deprimente, invece, leggere che il tanto interesse sui giornali italiani per questa manifestazione è dato non dall'evento in sé, ma dalle compagini in campo nello scontro iniziale: la rappresentativa della Padania incontra la nazionale del popolo Rom. Inutile quindi trovare resoconti seri di questa notizia e di questa iniziativa lodevolissima. I popoli senza Stato, le Nazioni non riconosciute, sono infatti faccenda molto seria. Ma notoriamente non per i giornalisti italiani, allevati nel culto statolatrico dello Stato-Nazione, della lingua unica, dell'identità unica, della bandiera unica, dal Piave che mormorò calmo e placido e dell'inesistenza di tutto il resto.
Ancor meno pensabile, per i media mainstream, che si possa scindere l'idea di Padania dall'idea di Lega Nord. E quindi tutti a sogghignare e a darsi di gomito ed a fare ironia su un incontro che, avesse riguardato il Tibet contro la Palestina, purtroppo non si sarebbe filato proprio nessuno nemmeno per sbaglio.
Invece il sublime match sportivo Padania-Rom meriterebbe ben altre attenzioni. Punto primo: la squadra di calcio chiamata Padania non ha (più) nulla a che fare con il partito politico Lega Nord. E questa è un'ottima cosa per tutti. Per i leghisti, per i padani e per il resto del mondo. Punto secondo: anche i popoli dell'attuale Nord Italia sono riconosciuti calcisticamente tanto quanto il Tibet, i Sami e i Rom e a tante altre minoranze, da una confederazione internazionale assolutamente sganciata da qualunque partito politico.
Punto terzo: con questo incontro calcistico (nella nazionale padana milita il fratello di Balotelli, per inciso) si ridà alla "questione Rom" il suo giusto e sacrosanto significato identitario, sganciandolo da quella sovrapposizione alle vicende di ordine pubblico giustamente stigmatizzata, e non certo da ora ma da decenni, dagli stessi migliori rappresentanti intellettuali dei popoli Rom e Sinti.
Chi scrive e chi abita in questa Camera ha da un paio di mesi sottoscritto la proposta di legge popolare per il riconoscimento delle lingue Rom e Sinti, e ancora oggi rinnova l'invito a tutti a fare altrettanto. Riconoscimento di lingua, che spetterebbe a tutti i popoli che ne hanno una non riconosciuta, e riconoscimento di uguali diritti e uguali doveri. Un'intenzione, quest'ultima, presente anche nelle dichiarazioni di tutti quelli che poi vanno nei talk show, anche se con toni e accenti completamente diversi tra loro a seconda dei punti di partenza.
Che inizi il mondiale dei popoli non riconosciuti, quindi. Il match Padania-Rom? Per me vinca il migliore, sportivamente parlando. Il migliore è chiunque dei due dimostri di esserlo sul campo. Con preventivo e successivo scambio di gagliardetti, abbracci sportivi e maglie sudate al fischio finale.
Ascolto musicale consigliato:
https://www.youtube.com/watch?v=6wFFIYAFjzw
Un curioso e buffo spettacolo che mi sentirei di consigliare a tutti, se mai avessero la possibilità di vedere la realtà televisiva odierna attraverso occhi e apparecchi d'antan.
Al dunque. Coccolati piacevolmente da una visione televisiva filtrata con queste modalità e depurata da ogni drammatica arroganza, è bello quindi prendere atto dai giornali italiani che sta per iniziare l'edizione 2015 dei mondiali di calcio per le nazionali dei popoli non riconosciuti, organizzata dalla federazione ConIFA. Il mondiale si svolge in Ungheria, a Debrecen, seconda città più importante dopo Budapest, poco distante dal confine con la Romania nonché sede di un club calcistico che milita nella massima serie del campionato magiaro.
Un po' deprimente, invece, leggere che il tanto interesse sui giornali italiani per questa manifestazione è dato non dall'evento in sé, ma dalle compagini in campo nello scontro iniziale: la rappresentativa della Padania incontra la nazionale del popolo Rom. Inutile quindi trovare resoconti seri di questa notizia e di questa iniziativa lodevolissima. I popoli senza Stato, le Nazioni non riconosciute, sono infatti faccenda molto seria. Ma notoriamente non per i giornalisti italiani, allevati nel culto statolatrico dello Stato-Nazione, della lingua unica, dell'identità unica, della bandiera unica, dal Piave che mormorò calmo e placido e dell'inesistenza di tutto il resto.
Ancor meno pensabile, per i media mainstream, che si possa scindere l'idea di Padania dall'idea di Lega Nord. E quindi tutti a sogghignare e a darsi di gomito ed a fare ironia su un incontro che, avesse riguardato il Tibet contro la Palestina, purtroppo non si sarebbe filato proprio nessuno nemmeno per sbaglio.
Invece il sublime match sportivo Padania-Rom meriterebbe ben altre attenzioni. Punto primo: la squadra di calcio chiamata Padania non ha (più) nulla a che fare con il partito politico Lega Nord. E questa è un'ottima cosa per tutti. Per i leghisti, per i padani e per il resto del mondo. Punto secondo: anche i popoli dell'attuale Nord Italia sono riconosciuti calcisticamente tanto quanto il Tibet, i Sami e i Rom e a tante altre minoranze, da una confederazione internazionale assolutamente sganciata da qualunque partito politico.
Punto terzo: con questo incontro calcistico (nella nazionale padana milita il fratello di Balotelli, per inciso) si ridà alla "questione Rom" il suo giusto e sacrosanto significato identitario, sganciandolo da quella sovrapposizione alle vicende di ordine pubblico giustamente stigmatizzata, e non certo da ora ma da decenni, dagli stessi migliori rappresentanti intellettuali dei popoli Rom e Sinti.
Chi scrive e chi abita in questa Camera ha da un paio di mesi sottoscritto la proposta di legge popolare per il riconoscimento delle lingue Rom e Sinti, e ancora oggi rinnova l'invito a tutti a fare altrettanto. Riconoscimento di lingua, che spetterebbe a tutti i popoli che ne hanno una non riconosciuta, e riconoscimento di uguali diritti e uguali doveri. Un'intenzione, quest'ultima, presente anche nelle dichiarazioni di tutti quelli che poi vanno nei talk show, anche se con toni e accenti completamente diversi tra loro a seconda dei punti di partenza.
Che inizi il mondiale dei popoli non riconosciuti, quindi. Il match Padania-Rom? Per me vinca il migliore, sportivamente parlando. Il migliore è chiunque dei due dimostri di esserlo sul campo. Con preventivo e successivo scambio di gagliardetti, abbracci sportivi e maglie sudate al fischio finale.
Ascolto musicale consigliato:
https://www.youtube.com/watch?v=6wFFIYAFjzw
lunedì 8 giugno 2015
Elezioni turche: quando le minoranze si uniscono possono davvero fare la differenza
C'erano una volta i "turchi della Montagna", ché la stessa parola "curdi" in Turchia era vietata e il potere imponeva, per nominarli, di ricorrere alla metafora. Un popolo fuorilegge, proprio come la loro lingua. Dire "curdi" era come dire "terroristi" ed evocare subito il Pkk e quel suo leader politico e militare, Abdullah Ocalan, che non a caso, grazie agli italiani brava gente, langue tuttora da 13 anni in una galera di Ankara.
Oggi, dopo le ultime elezioni turche, per quel popolo islamico ma sostanzialmente laico, colorato e allegro malgrado le sue immani tragedie secolari, e quindi anche guerriero come sta dimostrando contro l'Isis in Siria, non soltanto ha ricominciato ad esistere, ma è entrato di diritto nel parlamento turco. Con 13 suoi rappresentanti, e con grande scorno del presidente sedicente "islamico moderato" Erdogan.
Può darsi che la stessa geopolitica che ha sempre messo il veto all'ipotesi di costruzione di uno Stato per il popolo curdo, che pure ne avrebbe avuto diritto in base al trattato di Sèvres del 1920, ora abbia fatto il suo giro. Quel popolo, per gli strani destini della Storia, oggi può far comodo.
E può darsi che siano stati proprio certi "alleati occidentali" a favorire e sostenere l'ascesa di un partito, l'HDP, che ha comunque un nome ed un programma che suona molto simpatico e rivoluzionario a tutte le latitudini e longitudini: "Partito democratico dei popoli".
In ogni caso, questo partito curdo, guidato dal giovane Selahattin Demirtas - bomba o non bomba, vista la sanguinosa esplosione che ha fatto quattro vittime al comizio finale a Dyarbakir, capitale non dichiarata del Kurdistan "turco" - è così entrato in forze in parlamento. "Una vittoria degli oppressi e di tutte le minoranze etniche", ha detto giustamente Demirtas.
Ma è anche una vittoria della speranza laica contro un islam tanto "moderato" da far dire a Erdogan che "è meglio se le donne non ridono in pubblico" e da spingerlo a costringere sua moglie a circolare velata.
Va osservato infatti che l'Hdp, insieme ai curdi e ad altre minoranze tra cui quelle cristiane, rappresenta anche i diritti civili richiesti dalle comunità LGBT in una campagna elettorale in cui Erdogan non ha disdegnato i consueti attacchi omofobi. Come al solito, passati in Occidente quasi sotto silenzio.
Quando le minoranze si uniscono possono davvero inceppare le ruote del potere, o almeno mutarne in parte la direzione.
Una lezione che, dalle nostre parti, non viene mai né capita né, tantomeno, messa in pratica.
Ascolto musicale consigliato:
https://www.youtube.com/watch?v=kdPZ-U_3t0A
Oggi, dopo le ultime elezioni turche, per quel popolo islamico ma sostanzialmente laico, colorato e allegro malgrado le sue immani tragedie secolari, e quindi anche guerriero come sta dimostrando contro l'Isis in Siria, non soltanto ha ricominciato ad esistere, ma è entrato di diritto nel parlamento turco. Con 13 suoi rappresentanti, e con grande scorno del presidente sedicente "islamico moderato" Erdogan.
Può darsi che la stessa geopolitica che ha sempre messo il veto all'ipotesi di costruzione di uno Stato per il popolo curdo, che pure ne avrebbe avuto diritto in base al trattato di Sèvres del 1920, ora abbia fatto il suo giro. Quel popolo, per gli strani destini della Storia, oggi può far comodo.
E può darsi che siano stati proprio certi "alleati occidentali" a favorire e sostenere l'ascesa di un partito, l'HDP, che ha comunque un nome ed un programma che suona molto simpatico e rivoluzionario a tutte le latitudini e longitudini: "Partito democratico dei popoli".
In ogni caso, questo partito curdo, guidato dal giovane Selahattin Demirtas - bomba o non bomba, vista la sanguinosa esplosione che ha fatto quattro vittime al comizio finale a Dyarbakir, capitale non dichiarata del Kurdistan "turco" - è così entrato in forze in parlamento. "Una vittoria degli oppressi e di tutte le minoranze etniche", ha detto giustamente Demirtas.
Ma è anche una vittoria della speranza laica contro un islam tanto "moderato" da far dire a Erdogan che "è meglio se le donne non ridono in pubblico" e da spingerlo a costringere sua moglie a circolare velata.
Va osservato infatti che l'Hdp, insieme ai curdi e ad altre minoranze tra cui quelle cristiane, rappresenta anche i diritti civili richiesti dalle comunità LGBT in una campagna elettorale in cui Erdogan non ha disdegnato i consueti attacchi omofobi. Come al solito, passati in Occidente quasi sotto silenzio.
Quando le minoranze si uniscono possono davvero inceppare le ruote del potere, o almeno mutarne in parte la direzione.
Una lezione che, dalle nostre parti, non viene mai né capita né, tantomeno, messa in pratica.
Ascolto musicale consigliato:
https://www.youtube.com/watch?v=kdPZ-U_3t0A
sabato 6 giugno 2015
Troppo sole, troppe sòle. Ritornare a Nord rinfresca l'animo.
Bello il mare, ma una baita nel bosco è meglio. Sì, certi paesaggi mediterranei levano il fiato, ma il caldo sempre più insopportabile lo leva ancor di più. Entusiasmante Facebook, che può dare l'impressione di vivere nell'esatto baricentro dell'ombelico del mondo, ma poi può portare all'inevitabile conseguenza di considerarlo coincidente con le coordinate del proprio. Quando la via si perde tra laghi di sudore e deserti d'ansia, tra campi di girasoli sterili e risse da angiporti infantili, ritrovare la chiave della Camera a Nord è santa e preziosa benedizione. Un bicchierino di quelli giusti, una radio a valvole, giornali di carta e magari un toscanello a metà strada tra Hemingway e un'osteria padana d'antan e si riporta tutto a casa. Senza più ossessioni e frenesie. Tra Bach e una milonga, tra una monferrina e Stravinskij le ore del giorno e le stagioni ritrovano il senso giusto di rotazione. Fanculo al girarrosto impazzito e al fried chicken del fast food delle menti. Qui non si canta al modo delle rane. Vero, l'avevano già detto. Ma poi l'avevano ben presto dimenticato.
"Il cammino è chiaro, malgrado nessun occhio possa vedere...".
Bentornati. A voi e a me.
"Il cammino è chiaro, malgrado nessun occhio possa vedere...".
Bentornati. A voi e a me.
martedì 30 luglio 2013
RETROSPETTIVA / Immigrazione, conflitti in Ruanda, Umanitaria Padana: l'intervista del 2006 a padre Jean-Marie Vianney Gahaya
Giovanni Polli
Il Ruanda, Paese nell’Africa centro-orientale, è stato il teatro di uno tra i più sanguinosi genocidi del XX secolo. Nel 1994, dopo l’abbattimento dell’aereo dell’allora presidente Juvenàl Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, i suoi sostenitori sobillarono la violenza della popolazione dell’etnia maggioritaria hutu nei confronti dell’etnia tutsi. In poco più di tre mesi, a partire dal 7 aprile, vennero massacrate - soprattutto a colpi di machete e di bastoni chiodati - tra un milione e un milione e mezzo di persone, nell’indifferenza pressoché totale del mondo.
Tra le vittime, l’intera famiglia di un giovane sacerdote cattolico, padre Jean-Marie Vianney Gahaya. Padre Jean-Marie fu l’unico sopravvissuto al brutale attacco alla sua casa. Oggi è presidente della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Butare, la seconda città più importante del Ruanda, nonché guida della parrocchia di Rugango. «Soltanto la mia fede - ricorda oggi padre Jean-Marie - mi ha dato la forza per superare tutti i problemi della mia vita».
Nei giorni scorsi, padre Jean-Marie era a Milano, in visita presso l’associazione Umanitaria padana onlus, dove è stato ricevuto dalla coordinatrice, Sara Fumagalli. In quella occasione, abbiamo chiesto al sacerdote di raccontarci come è oggi la situazione in Ruanda, a 12 anni dal genocidio.
«Oggi lavorare nel nostro Paese - racconta padre Gahaya - non è facile perché dobbiamo unire la gente, aiutarla a vivere insieme. Dobbiamo anche ricostruire tutto quello che è stato distrutto. Non è facile spiegare quello che è successo con il genocidio. Riusciamo oggi comunque a fare qualcosa di positivo per la nostra popolazione».
Dal punto di vista politico che cosa è accaduto dal ’94 a oggi?
«Il genocidio è stato fermato nel luglio 1994, con l’ascesa al potere del Fronte patriottico ruandese. Negli ultimi anni si sono svolte libere elezioni e l’attuale presidente Paul Kagameè un buon capo di Stato, il suo è un buon governo e noi abbiamo finalmente la pace».
Com’è oggi il rapporto tra le due etnie hutu e tutsi?
«Diciamo che ora, in questo periodo di pace, l’odio non c’è più. Adesso cerchiamo di ricostruire il Paese».
In particolare, la Chiesa cattolica come sta operando?
«Ricordo che in tutto il Ruanda i cristiani sono oltre l’80 per cento della popolazione, e in particolare i cattolici sono il 55 per cento. La Chiesa e lo Stato dopo il genocidio hanno lavorato tanto con attraverso gli aiuti dall’estero. Si sono iniziate a ricostruire le scuole e a insegnare alla gente la convivenza. Tra gli interventi, sono stati aiutati gli orfani e le vedove del genocidio, ma anche i parenti dei miliziani incarcerati. In particolare, il mio incarico diocesano è quello, attraverso la commissione per la Giustizia e la Pace, ad aiutare le persone a riconciliarsi e a superare l’odio».
Qual è la prima emergenza, oggi?
«La ricostruzione. Durante il genocidio sono stati distrutti anche edifici e strutture civili e quando i massacratori si sono visti sconfitti, prima della fuga, hanno fatto terra bruciata di tutto, dalle scuole agli ospedali. Oggi sono comunque già stati fatti molti passi in avanti per lo sviluppo, in particolare per scuola e sanità».
Lei è impegnato per lo sviluppo nel suo Paese. Che cosa prova quando vede le forze migliori dei Paesi come il suo mandate allo sbaraglio sui barconi dei nuovi trafficanti di uomini?
«Ci sono forze che stanno lavorando per distruggere l’Africa. È un fenomeno come quello dei negrieri che importavano schiavi in America. Gli africani devono restare in Africa per poter dare un futuro a questo Continente ricco sia di mezzi che di risorse naturali. Sono i nemici dell’Africa quelli che vengono a prendere la nostra mano d’opera».
Aiutare i popoli a casa loro è proprio, da sempre, l’impegno dell’Umanitaria padana onlus, ricorda a questo proposito Sara Fumagalli. «Dobbiamo aiutarli ad aiutarsi. Quindi privilegiamo sempre gli interventi sulla formazione professionale. In questo ci siamo trovati in perfetta sintonia con padre Jean-Marie, che ha questa stessa impostazione e porta richieste rivolte in questo senso. Ora aspettiamo la presentazione di un progetto definito di formazione, possibilmente basato sull’utilizzo dell’informatica che oggi in Africa è uno strumento fondamentale per favorire ogni altro tipo di sviluppo perché consente di lavorare e mantenere i contatti in maniera semplice ed economica».
«La diocesi di padre Jean-Marie - ricorda ancora Sara Fumagalli - già si occupa della scolarizzazione di base attraverso le scuole primarie. Con la conoscenza della lingua inglese e la formazione di base, l’utilizzo del computer permette l’apertura di una finestra sul mondo attraverso la quale è possibile far passare lo sviluppo di tutta la società. Siamo in attesa di ricevere un progetto definito, e l’Umanitaria padana non rimarrà di certo insensibile a questa richiesta».
(Pubblicato su la Padania di sabato 23 settembre 2006)
Il Ruanda, Paese nell’Africa centro-orientale, è stato il teatro di uno tra i più sanguinosi genocidi del XX secolo. Nel 1994, dopo l’abbattimento dell’aereo dell’allora presidente Juvenàl Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, i suoi sostenitori sobillarono la violenza della popolazione dell’etnia maggioritaria hutu nei confronti dell’etnia tutsi. In poco più di tre mesi, a partire dal 7 aprile, vennero massacrate - soprattutto a colpi di machete e di bastoni chiodati - tra un milione e un milione e mezzo di persone, nell’indifferenza pressoché totale del mondo.
Tra le vittime, l’intera famiglia di un giovane sacerdote cattolico, padre Jean-Marie Vianney Gahaya. Padre Jean-Marie fu l’unico sopravvissuto al brutale attacco alla sua casa. Oggi è presidente della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Butare, la seconda città più importante del Ruanda, nonché guida della parrocchia di Rugango. «Soltanto la mia fede - ricorda oggi padre Jean-Marie - mi ha dato la forza per superare tutti i problemi della mia vita».
Nei giorni scorsi, padre Jean-Marie era a Milano, in visita presso l’associazione Umanitaria padana onlus, dove è stato ricevuto dalla coordinatrice, Sara Fumagalli. In quella occasione, abbiamo chiesto al sacerdote di raccontarci come è oggi la situazione in Ruanda, a 12 anni dal genocidio.
«Oggi lavorare nel nostro Paese - racconta padre Gahaya - non è facile perché dobbiamo unire la gente, aiutarla a vivere insieme. Dobbiamo anche ricostruire tutto quello che è stato distrutto. Non è facile spiegare quello che è successo con il genocidio. Riusciamo oggi comunque a fare qualcosa di positivo per la nostra popolazione».
Dal punto di vista politico che cosa è accaduto dal ’94 a oggi?
«Il genocidio è stato fermato nel luglio 1994, con l’ascesa al potere del Fronte patriottico ruandese. Negli ultimi anni si sono svolte libere elezioni e l’attuale presidente Paul Kagameè un buon capo di Stato, il suo è un buon governo e noi abbiamo finalmente la pace».
Com’è oggi il rapporto tra le due etnie hutu e tutsi?
«Diciamo che ora, in questo periodo di pace, l’odio non c’è più. Adesso cerchiamo di ricostruire il Paese».
In particolare, la Chiesa cattolica come sta operando?
«Ricordo che in tutto il Ruanda i cristiani sono oltre l’80 per cento della popolazione, e in particolare i cattolici sono il 55 per cento. La Chiesa e lo Stato dopo il genocidio hanno lavorato tanto con attraverso gli aiuti dall’estero. Si sono iniziate a ricostruire le scuole e a insegnare alla gente la convivenza. Tra gli interventi, sono stati aiutati gli orfani e le vedove del genocidio, ma anche i parenti dei miliziani incarcerati. In particolare, il mio incarico diocesano è quello, attraverso la commissione per la Giustizia e la Pace, ad aiutare le persone a riconciliarsi e a superare l’odio».
Qual è la prima emergenza, oggi?
«La ricostruzione. Durante il genocidio sono stati distrutti anche edifici e strutture civili e quando i massacratori si sono visti sconfitti, prima della fuga, hanno fatto terra bruciata di tutto, dalle scuole agli ospedali. Oggi sono comunque già stati fatti molti passi in avanti per lo sviluppo, in particolare per scuola e sanità».
Lei è impegnato per lo sviluppo nel suo Paese. Che cosa prova quando vede le forze migliori dei Paesi come il suo mandate allo sbaraglio sui barconi dei nuovi trafficanti di uomini?
«Ci sono forze che stanno lavorando per distruggere l’Africa. È un fenomeno come quello dei negrieri che importavano schiavi in America. Gli africani devono restare in Africa per poter dare un futuro a questo Continente ricco sia di mezzi che di risorse naturali. Sono i nemici dell’Africa quelli che vengono a prendere la nostra mano d’opera».
Aiutare i popoli a casa loro è proprio, da sempre, l’impegno dell’Umanitaria padana onlus, ricorda a questo proposito Sara Fumagalli. «Dobbiamo aiutarli ad aiutarsi. Quindi privilegiamo sempre gli interventi sulla formazione professionale. In questo ci siamo trovati in perfetta sintonia con padre Jean-Marie, che ha questa stessa impostazione e porta richieste rivolte in questo senso. Ora aspettiamo la presentazione di un progetto definito di formazione, possibilmente basato sull’utilizzo dell’informatica che oggi in Africa è uno strumento fondamentale per favorire ogni altro tipo di sviluppo perché consente di lavorare e mantenere i contatti in maniera semplice ed economica».
«La diocesi di padre Jean-Marie - ricorda ancora Sara Fumagalli - già si occupa della scolarizzazione di base attraverso le scuole primarie. Con la conoscenza della lingua inglese e la formazione di base, l’utilizzo del computer permette l’apertura di una finestra sul mondo attraverso la quale è possibile far passare lo sviluppo di tutta la società. Siamo in attesa di ricevere un progetto definito, e l’Umanitaria padana non rimarrà di certo insensibile a questa richiesta».
(Pubblicato su la Padania di sabato 23 settembre 2006)
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Informazioni personali

- Gioann March Pòlli
- Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it