mercoledì 28 febbraio 2018

Riconoscere i demoni prima che prendano il potere di distruggere? Difficile se si è rinchiusi nella gabbia del proprio smartphone


Quello che sto per scrivere potrà forse suonare a sua volta malvagio e irrispettoso? Pazienza. Questa stessa era è malvagia, se la si osserva bene. Non che le altre venute prima fossero poi tanto migliori, tra guerre perpetue, miseria, ignoranza e superstizione. Non certo la mitica età dell'Oro, né tantomeno l'altrettanto mitica Utopia.
Ma a ciascuna epoca i suoi demoni.
Il demone più schifoso di questa è la solitudine. Il demone latente più furioso di tutti. La solitudine che minaccia di aprire sotto di te vertigini inenarrabili come quella in cui, nel Signore degli Anelli, sprofondò Gandalf, insieme al Balrog, giù nelle infinite profondità delle miniere di Moria.
(Ebbene sì, ciascuno dei miei ultimi post contiene una citazione dal Signore degli Anelli: Tolkien è l'epica moderna, universale, trasversale, e c'è dentro tutto, è la narrazione stessa del nostro presente eterno e ubiquo).
Ecco, le sventurate ragazzine freddate dal padre carabiniere uscito di testa a causa della sua separazione che non riusciva ad accettare sono state scaraventate in quel baratro senza ritorno proprio dal Balrog impazzito. Ha trascinato tutto con sé nel suo abisso che fino a poco prima di spalancarsi è stato imperscrutabile agli altri. E che oggi tale resterà, e a nulla varranno le analisi, i perché, le domande.
La cronaca è di oggi. Un uomo non più distinguibile dal proprio demone, dopo aver sparato alla (quasi ex) moglie per ucciderla (ancora più sventurata è lei, forse, che è rimasta in vita e potrà contemplare le rovine di tutto) ha sparato alle figlie e si è a sua volta ucciso.
Non è il primo né sarà l'ultimo. Quello che colpisce, forse, stavolta è il tempo della tragedia: ore e ore interminabili di angoscia infinita, trascorso senza che nessuno potesse tirar fuori quel Balrog da quell'uomo. E quelle ragazzine dalle sue grinfie.
Troppo tardi.
Sono consapevole: queste sono riflessioni da cinque lire, forse non valgono nemmeno tanto.
Però niente mi toglie dalla mente che se prima ci si scannava, uccideva, si moriva a quarant'anni, si annegava nella miseria e nell'ignoranza, quantomeno ci si conosceva. Ci si annusava, ci si guardava.
Si parlava. Si sapeva. Si comunicava. Magari a grugniti, ma si comunicava.
Certo, con questo non ci si può in alcun modo arrogare il diritto di giudicare un fatto di questa portata. Che merita solo pietà, e nessuno conoscerà mai la profondità di quell'abisso, la perversione di quel demone.
Però non si può fare a meno di pensare che se (congiunzione del quale, insieme ai "ma", sono pieni i fossi) si uscisse tutti quanti dal proprio marcio egoismo, ormai sigillato definitivamente in quell'urna mortale di plastica e silicio che ci assorbe la mente e l'anima senza lasciarci più uno spazio di contatto con il prossimo vivo e vero, indemoniato o meno, sarebbe più facile accorgersi in tempo del demone che arriva nel vicino, nel padre, nel marito, nella moglie, nel fratello o nella sorella, nell'amico.
Forse.
Quel che non è "forse" ma è certo, è che se la gran parte dei naviganti nell'odierno fetente mare passano tutto il tempo della propria vita con in mano quell'aggeggio infernale chiamato "smartphone" nell'illusione di essere al centro del mondo, e se con questo diventano incapaci di guardare la realtà che ti respira a fianco, l'inferno arriva senza che nemmeno ce ne si possa accorgere.
Supremo inganno: un "device" fatto per comunicare rende soli.
Paurosamente soli. Impietosamente soli.  Può darsi che in questa occasione non c'entri nulla. Però rende tragicamente soli.
E questa epoca è e resta l'epoca della solitudine. E la solitudine è un demone, un abisso che uccide quando meno te lo aspetti.

Ascolto consigliato: Antonello Venditti, Stai con me

Nessun commento:

Posta un commento

Informazioni personali

La mia foto
Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it