sabato 13 ottobre 2012

Il Nobel alla Ue, un premio per la pace eterna

(pubblicato su la Padania di sabato 13 ottobre 2012)

E il prossimo chi sarà? Probabilmente il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, magari «per il ruolo attivo nel mantenere la pace, l’equilibrio e la stabilità dell’area mediorientale». O, perché no, anche il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, per la sua indubbia capacità di «impedire la pericolosa ulteriore destabilizzazione degli Stati fuoriusciti dall’ex Unione Sovietica». E perché allora non direttamente l’intero governo di Pechino, «per il determinante contributo alla pacificazione del Tibet»? Di motivazioni per un Nobel per la Pace sballato ai personaggi più improbabili ce ne sarebbero a iosa. E se le si volesse cercare, le si troverebbero pure, visto che cosa stanno combinando lassù in Norvegia.
Di certo, negli ultimi anni da quelle parti circola un’aria strana. Nel 2009, infatti, arriva il primo  colpo di scena spiazzante e imbarazzante, vale a dire il Nobel “sulla fiducia” attribuito all’appena eletto presidente statunitense Barack Obama. Un precedente talmente scombicchierato da essere richiamato un po’ da tutti, in queste ore. In effetti, a partire d quel 2009, si è perso il conto delle azioni militari compiute dalle truppe statunitensi, e delle vittime che l’operato dei soldati agli ordini del “Nobel per la pace” ha finito per procurare.
Non contenti di ciò, gli accademici del Nobel sono partiti per la recidiva. Nel bel mezzo di una crisi epocale, causata proprio dalla pretesa degli eurocrati di ridurre ad impossibile unità, omologare e condizionare le disparate economie e diseconomie del continente sotto le insegne della finanza, che cosa di meglio di un altro bel premio “sulla fiducia” ad un’organizzazione che, tra l’altro, non è precisamente ai vertici di popolarità nel Continente intero?
L’operazione appare chiara: tentare un lifting di immagine dando fiato alle sfiatatissime trombe della retorica, da contrapporre a quelli che già da qualche tempo, ancor prima degli “eurogolpe” greco ed italiano venivano già bollati come i “pericolosi populismi”. Vale a dire, le visioni critiche di chi non accetta che siano le banche e la finanza a dover condizionare a qualunque costo la vita dei cittadini europei, a qualunque Stato appartengano.
E così, un’istituzione fresca fresca dello scippo di sovranità del “Fiscal Compact”, che tratta i cittadini come i dipendenti di un’azienda il cui sacrificio debba essere finalizzato al profitto e non al proprio benessere, si vede attribuita il premio che fu, citati in ordine sparso, di Begin e Sadat, di Desmond Tutu, Rigoberta Menchu, Aung San Suchi, Lech Walesa e Michail Gorbaciov, ed ancora Rabin, Peres ed Arafat. Quest’anno l’Accademia ha scelto, in sostanza, di “onorare” le oligarchie finanziarie che agiscono su tutto e su tutti senza essere state legittimate da nessuno se non da se stesse. Complimenti vivissimi.
D’altra parte, a prendere atto delle trombe e trombette suonate per l’occasione, c’è da rimanere di sasso. Se da Oslo il comitato fa sapere di aver premiato la Ue per «aver contribuito per sei decenni all’avanzamento della pace e della riconciliazione, la democrazia e i diritti umani in Europa», da parte dei beneficiati è tutto un fuoco retorico di fila che si commenta da solo: «La riconciliazione - ha detto il solito presidente del Parlamento europeo Martin Schulz - è ciò che l'Unione Europea è. Può servire come fonte di ispirazione. L’Ue è un progetto unico che ha sostituito la guerra con la pace, l'odio con la solidarietà». Tra banchieri e finanzieri, senza dubbio.
Il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso ha twittato: «È un grande onore per l'intera Unione europea e per tutti i 500 milioni di cittadini Ue essere premiati con il Nobel per la pace 2012». Da chiedersi quasi se i circa 850 mila euro del premio saranno poi devoluti a progetti di sostegno dei milioni di cittadini finiti in miseria per le politiche finanziarie di Bruxelles. Ma il “botto” retorico è provenuto dal presidente del Consiglio europeo Herman  Van Rompuy,  che si è gonfiato tanto al punto da rischiare l’effetto esplosivo della rana di Fedro: «La Ue è veramente la più grande istituzione per la pace mai creata nella  storia del mondo». 
I nodi logici ancora più stringenti devono infatti arrivare al pettine, se si pensa che questa Unione europea è composta di Stati che tutto hanno fatto fuorché starsene in pace. Dobbiamo ricordare, anche qui citati in ordine sparso, gli ultimi bombardamenti francesi in Libia o quelli - cui partecipò anche l’aeronautica italiana ai tempi del governo D’Alema del 1998, su Belgrado? Altro che “garanzia di pace”, Bruxelles non è stata mai in condizioni non solo di dotarsi di una politica militare o estera comune, ma tantomeno di impedire ai suoi stati membri di usare la forza bellica con esiti anche disastrosi sul fronte della popolazione civile.
Da ricordare, tra l’altro, che nell’esercito di uno Stato membro dell’Unione europea, ciòè la Spagna, vi sono militari che hanno invocato i carri armati contro la Catalunya nel caso dichiarasse l’indipendenza. Cosa che ha fatto anche nientemeno che un vicepresidente dello stesso Europarlamento, l’eurodeputato spagnolo  del Partito popolare Alejo Vidal Quadras. Anche lui insignito del “Nobel per la pace”, evidentemente.
Per fortuna voci critiche si sono alzati dalla stessa assemblea di Strasburgo. «Penso che sia un’assoluta  vergogna», ha tuonato l’europarlamentare britannico Nigel Farage, leader del partito Ukip, che da sempre è schierato contro lo strapotere delle oligarchie finanziarie che guidano la Ue senza alcuna legittimazione popolare. «Penso che (la decisione di  oggi, ndr) discrediti totalmente il premio Nobel».
Il precedente di Obama parla chiaro: non sia mai che il Nobel per la pace all’Europa dei banchieri sia stato assegnato come una minaccia di pace eterna all’Europa dei popoli.

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it