lunedì 14 maggio 2012

Se la Grecia torna al voto, chissà se i tecnocrati tenteranno "un'aggiustatina" come in Irlanda...

(pubblicato su la Padania di domenica 13 maggio)

E tre, fuori un altro. Dopo che il leader di Nuova Democrazia Antonis Samaras e quello della sinistra radicale di Syriza Alexis Tsipras avevano rinunciato all’impresa impossibile di formare un nuovo Governo dopo le elezioni in Grecia del 6 maggio, anche Evangelos Venizelos, capo dei socialisti del Pasok, ha ieri mattina formalmente rinunciato all’incarico affidatogli dal presidente Karolos Papoulias. Toccherà ora allo stesso Papoulias compiere un ultimo tentativo per far uscire la Grecia dall’impasse politico prima di riaffidare la parola alle urne con nuove elezioni. Venizelos aveva annunciato il fallimento l’altroieri sera, dopo il rifiuto di Syriza, peraltro ampiamente preannunciato, di entrare a far parte di un Governo di unità nazionale con socialisti, conservatori e sinistra democratica. Il punto è sempre il solito. Il popolo greco ha sonoramente sconfitto nelle urne i diktat dei finanzieri della Ue e del Fmi, e la conseguente politica da macelleria sociale imposta tramite il "gauleiter" Papademos, con l’appoggio dei partiti tradizionali di Atene costretti a firmare un patto anche per il futuro, nei mesi precedenti il voto. Ma l’Ue non molla la presa. Il presidente Papoulias incontrerà inizialmente già oggi i tre leader dei principali partiti, che hanno già fallito, uno dopo l’altro, il mandato esplorativo. Successivamente il presidente greco vedrà individualmente i leader degli altri quattro partiti entrati in parlamento. D’altra parte, le soluzioni che si presentano all’orizzonte non sono per nulla scontate. Le pressioni da parte dei capi Ue e dei leader dei Paesi "forti" dell’euro perché ad Atene si insedi un Governo che continui l’opera di Papademos malgrado la maggioranza dei cittadini ellenici sia fermamente contraria, nei giorni scorsi si sono ripresentate insistenti, fino a sfociare di fatto in vere e proprie minacce. Comunque vada, appare ormai quasi scontato che il Paese ellenico sia avviato all’uscita dalla moneta unica. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, riportato da Giuseppe Vita, presidente di Unicredit, in conferenza stampa a Milano, «ha detto che se la Grecia dovesse decidere in maniera autonoma di uscire dall’euro, nessuno glielo può impedire». Pertanto, «credo che esistano dei piani B» per arginare il caos a catena che potrebbe derivare dall’uscita di Atene dalla moneta unica. L’ad Ghizzoni ha spiegato, rispondendo ad un’altra domanda, di non essere «così negativo in merito all’impatto sull’euro» di una possibile uscita unilaterale di Atene dalla moneta unica, «perché i mercati in maggioranza pensano che la Grecia uscirà. I mercati ne hanno già scontato l’effetto». Ormai, l’ottimismo di maniera dei rappresentanti dei poteri bancari non si rivolge più al fatto che la Grecia rimanga nell’euro ma al fatto che l’uscita della Grecia dall’euro non provocherà un caos come quello temuto. In realtà, anche negli stessi organi della Ue ci si inizia ad accorgere che le minacce e gli anatemi diretti rivolti alla Grecia rischiano davvero di non produrre affatto gli effetti sperati. E così, il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha ammorbidito decisamente i toni e si è detto ora favorevole alla possibilità di dare più tempo ad Atene per permetterle di rispettare gli impegni presi con Ue ed Fmi, scongiurando così anche il rischio di una sua uscita dall’euro. «Non mi aggrappo alla richiesta di farle rispettare gli obiettivi di politica di bilancio nel mese concordato - ha detto Juncker, parlando a Berlino - Non ho problemi, per esempio, a dare un anno di più alla Grecia». Tuttavia, ha ricordato ieri il premier lussemburghese alla vigilia della riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles che avrà la Grecia tra i temi principali all’ordine del giorno, «potremo parlare dell’agenda del risanamento dello Stato greco quando sarà stato formato un Governo, al momento non possiamo avviare negoziati separatamente con i partiti greci, non sarebbe possibile». Juncker ha poi chiarito di non ritenere giusto tenere troppo sotto pressione i greci. «Dobbiasmo lasciare che siano loro a decidere», ha sottolineato, avvertendo tuttavia Atene che non ci sono alternative al risanamento dei conti pubblici. Si fa strada quindi un’altra strana premonizione: che si torni presto alle urne e che, questa volta, da esse scaturisca "miracolosamente" una qualche formula favorevole ai diktat Ue. I precedenti non mancano. In Irlanda per ben due volte un referendum popolare bocciò i voleri dell’Unione europea. Nel 2001 l’Isola verde disse "No" al Trattato di Nizza, nel 2008 fece naufragare quello di Lisbona. In entrambi i casi, si impose la forzatura: un referendum analogo l’anno successivo che, in entrambi i casi portò "miracolosamente" i risultato sperato dagli eurocrati. Vogliamo scommettere che le eventuali nuove elezioni greche altrettanto "miracolosamente" possano portare ad un risultato che tranquillizzi i poteri forti? È una scommessa che, in nome di ciò che resta del concetto di "democrazia", ci auguriamo di cuore di perdere.

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it