sabato 27 gennaio 2018

Cronache dall'esilio/1 Fuori da Facebook c'è vita e si respira molto meglio


"Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali con tribune elettorali". "Com'è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore". (F. Battiato, "Bandiera bianca")
È dall'anno scorso che non apro più Facebook. Per la precisione dal 31 dicembre. E chi se ne frega, direte voi. E fate bene: ogni accenno di narcisismo social sarebbe in effetti da stroncare sul nascere con una pernacchia o una meno impegnativa alzata di spalle.
E questo vale per il narcisismo dei "grandi influencer" veri o autoproclamati, figurarsi per quelli come me, per i quali l'unica influenza è quella subita, di solito d'inverno, pesto e allettato per qualche giorno.
Però ci tenevo a dirlo, ecco. Come un fumatore che resiste all'idea della sigaretta appena accesa, o un alcolista che non apre più la bottiglia pur avendola bella piena e invitante nel frigo bar.
Camera a Nord ha ospitato soprattutto (poche) mie riflessioni politiche, ma - come blog - è e resta il mio diario e quindi ci scrivo quel che voglio, anche su di me: sono ancora vivo, tutto qui. Magari qualcuno - per altre vie, in diversi mi hanno chiesto lumi - si domandava se fossi in vita oppure fossi sublimato nell'Infinito. Ipotesi, quest'ultima, che per qualcuno è stata forse pure una speranza. Ma se qualcun altro può avere interesse circa la fine che può aver fatto un giornalista disoccupato e sempre più disincantato (e dai santissimi sempre più frantumati) ora lo sa: è biologicamente attivo ma resta parcheggiato in garage. Con i cavi della batteria staccati. Di sicuro fino al 5 marzo, e poi magari ancora.
Tanto quel che dovevo dire e predire l'ho già abbondantemente detto e predetto, scritto e prescritto. Se non ci avrò preso, vuol dire che sono inaffidabile. Se ci avrò preso, mi riconfermerò nel ruolo di  Cassandra, e quindi che parli o non parli è esattamente la stessa cosa. Di conseguenza, il silenzio è la miglior virtù possibile, qualunque piega prendano gli eventi.
Soprattutto negli ultimi anni il mio profilo Facebook è stato in primo luogo un salotto di discussione, libero aperto a tutti, su molti argomenti. Politica e cultura in primis, dal momento che quelli erano gli argomenti di cui mi occupavo per lavoro e passione.
Senza mai aver capito dove finisse il primo e iniziasse la seconda, o viceversa.
Ecco, ora non c'è più né il primo né la seconda. E nemmeno il viceversa.
E non c'è più voglia di niente in generale, se non di tentare di recuperare - almeno - una dimensione individuale che i social annichiliscono o, più propriamente, annientano. I social sono il male. Prima lo sapevo, ora ne ho la consapevolezza interiore profonda. Sono l'alienazione definitiva, il controllo ineludibile, il preludio alla dominazione completa sull'individuo. Isolano con il pretesto della condivisione, cancellano la realtà con il pretesto della sua amplificazione. Ammazzano i contatti diretti, i dialoghi in casa e per strada, le albe, i libri, la musica e il tramonto. La Luna e le piante, l'aria e l'anima. E l'amore. Si diventa schiavi e persi. Si diventa il Nulla foderato di fotografie del Tutto. Fotografie sempre più ingiallite anche se fatte di pixel. Eppure fuori di lì c'è vita, credetemi, e si respira davvero molto meglio.
Non ho mai negato che più di tutti i media amo la radio. Quella vera, quella parlata, quella ascoltata e partecipata dagli ascoltatori con i loro interventi in diretta. La radio "libera la mente", cantava Eugenio Finardi, a patto che sia "libera veramente". La sto facendo, "libera veramente" (e chi mi ascolta lo sa bene) - dopo un primo inizio dai sedici ai diciotto anni della mia biografia - da più di vent'anni di filato.
E non smetterei mai.
Stare su Fb sembrava proprio come essere sempre in trasmissione continua. Parlare, stimolare la discussione, interagire, crescere, fare incontri (ce ne sono stati e molto importanti, devo dire, anche diventati reali), divertirmi o incazzarmi solennemente. Ahimé, non era così bello. Facebook è stata  un'illusione durata troppo a lungo, un semplice mezzo per eludere una realtà molto più cruda. Come una droga. Come il pacchetto di Camel per un tabagista, come il Jack Daniel's per una rockstar alcolizzata. Era come l'Unico Anello portato da Frodo nel Signore degli Anelli di Tolkien: portarlo consumava dentro, ma non si riusciva più a farne a meno.  
Bene, se questo fosse un gruppo di autoaiuto, direi: "È dal 31 dicembre che non lo faccio più". E non mi manca. Ecco, l'ho detto. Non ve ne fregherà nulla, e questo - strano a dirsi - mi rende ancora più tranquillo e sereno. Almeno su questo fronte.
Ad maiora. E grazie per il tempo perso a leggere queste righe. Non odiatemi. Qui in dolce esilio nella mia Camera a Nord ci sto bene e vi voglio bene molto sinceramente.
Ma non vi penso troppo, ed è meglio così.

Ascolto consigliato: Franco Battiato: "Bandiera Bianca" (1981)

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it