giovedì 29 ottobre 2015

Ungheria '56, ovvero dell'impossibilità di una rivoluzione se la geopolitica non la permette. Ieri come oggi

Cinquantanove anni fa, esattamente in questi giorni, il popolo ungherese insorgeva coraggiosamente e drammaticamente contro il regime filosovietico. Come andò a finire è cosa nota. Ancora oggi, spunto migliore della tentata rivoluzione ungherese del '56 non ci può essere, per arrivare a una triste ed inevitabile considerazione: se la geopolitica non lo permette, nessuna rivoluzione è possibile. 
Non è infatti praticabile una via rivoluzionaria contro un regime soltanto perché "la gente non ne può più", se i poteri sullo scacchiere internazionale la condannano invece inesorabilmente a dover continuare a sopportare. Nel '56 la logica di Yalta era ferrea: uscire dalla zona di influenza sovietica era semplicemente irrealizzabile. Così sarebbe stato per la Cecoslovacchia del '68 e finanche per la Polonia di Solidarnosc, "salvata" dall'autogolpe del generale Jaruzelski per evitare a sua volta l'arrivo dei carri armati sovietici.
Questo dovrebbe insegnarci a leggere il presente. Oggi, pensare di uscire dalla zona sottoposta all'oligarchia politico-finanziaria vincitrice della Guerra Fredda, e quindi delle gabbie parzialmente sovrapposte di Unione europea e Nato, è semplicemente impossibile. I tre golpe morbidi attuati dalla Troika negli ultimi anni (in realtà quattro, che la Grecia ne ha conosciuti due) in italia, Grecia e Portogallo, quest'ultimo passato sotto silenzio completo almeno dell'informazione italiana, insegnano che dalla morsa non si esce.
Eppure, all'epoca del primo golpe greco, quello di Papademos del 2011, i greci in piazza scesero eccome. Con il risultato di venire pestati ferocemente dalla polizia, nel silenzio quasi completo dei salotti allineati con le oligarchie regnanti. Poi arrivò Papademos, uomo Goldman-Sachs come Monti in italia, poi il "largointesista" Samaras e infine il grande truffatore Tsipras, oggi ricondotto, come era logico che fosse, alla ragione dell'eurocrazia e divenuto succube della Troika tanto quanto i suoi predecessori.

Questo dovrebbe insegnare che una ribellione contro gli oligarchi non è possibile. Sia di piazza, sia per via elettorale. Si può al limite tentare di sabotarli con granelli di sabbia, fare controinformazione, fare resistenza passiva. Ma scalzarli no. Non ci si può illudere. Lo stesso potere ha messo in atto strumenti di gatekeeping, cioè di veicolazione del dissenso verso movimenti o situazioni politiche utili al potere, davvero formidabili. Per esempio, la creazione in italia di due movimenti di opposizione al regime, separati ed inconciliabili come il M5S e la Lega. Spezzare in due la massa critica è esattamente quello che serve per mantenere in eterno il Pd al comando, a maggior ragione dopo le riforme della legge elettorale e costituzionale, varate attraverso le larghe intese con Berlusconi prima e a colpi di fiducia parlamentare poi.

Oggi soltanto uno Stato sta per ora sfuggendo da questa logica, ed è proprio l'Ungheria. La Polonia dopo il voto che ha premiato l'euroscettico Kaczinsnki invece non vi sfugge del tutto, dal momento che può permettersi di opporsi ai diktat Ue soltanto perché ha in casa un abbondante quantità di carri armati Usa e dichiara di volerne ancora degli altri.
Proprio l'Ungheria torna quindi ad essere, per ora, e fino a quando non troveranno il modo di far sostituire il suo premier Orban, accusato dalla propaganda di regime di ogni nefandezza possibile, l'anello che non tiene della nuova logica geopolitica.
A sigillo paradossale e simbolico di queste considerazioni, il personaggio che risponde al nome di Giorgio Napolitano, che in tutta la sua vita ha dimostrato di avere curiosamente una strana predilezione per attaccare l'Ungheria. Al punto che nel '56 applaudiva ai carri armati che la riportavano nell'ordine costituito dell'Unione sovietica mentre ora la condanna con parole più che aspre per la sua politica contraria ai diktat dell'Unione europea.
Se poi pensiamo che un altro personaggio come il giornalista Giuseppe Turani si è spinto ad affermare che bisognerebbe mandare la Nato ad abbattere le frontiere fatte erigere da Budapest, il ciclo si chiude.
"Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole. E più non dimandare" (Dante, Divina Commedia, Inferno).

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Mi chiamo Gioann March Pòlli (Giovanni Marco Polli all'anagrafe italiana). Sono giornalista professionista e per quasi diciotto anni mi sono occupato di politica, culture e identità per il quotidiano la Padania. Credo nella libertà assoluta di pensiero e odio visceralmente le catene odiose del "politicamente corretto". E non mi piacciono, in un libero confronto di idee, barriere ideologiche, geografiche o mentali. Scrivetemi a camera.nord@libero.it